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“Senza fertilizzanti avremmo il 40% di alimenti in meno”: l’intervento del professor Robert Paarlberg

Biologico è meglio? Per rispondere a questa domanda la Harvard Gazette, organo della prestigiosa università americana, ha interpellato Robert Paarlberg, associato al Sustainability Science Program presso la Kennedy School e autore di numerosi libri sull’agricoltura e l’alimentazione. Il parere dello studioso, pubblicato integralmente dalla Gazette, offre moltissimi spunti di riflessione, anche rispetto al tema della crescita della popolazione mondiale e del conseguente aumento del fabbisogno alimentare. Il mondo ha già raggiunto gli otto miliardi di persone e questo è stato possibile anche grazie al fatto che il settore agroalimentare ha fatto passi da gigante e ha incrementato in maniera esponenziale la produttività. Per rispondere sia alle esigenze alimentari sia a quelle ambientali oggi si parla di ‘intensificazione sostenibile‘, una via diametralmente opposta a quella del bio, come spiega lo stesso Paarlberg ad Harvard Gazette. Ma la prima considerazione è quella sulla percezione del consumatore circa i pregi del biologico: “Non esistono prove attendibili che dimostrino che gli alimenti coltivati biologicamente siano più nutrienti o più sicuri da mangiare. Nel 2012, una revisione dei dati di 237 studi condotti presso il Center for Health Policy dell’Università di Stanford ha concluso che non c’erano differenze convincenti tra gli alimenti biologici e quelli convenzionali in termini di contenuto di nutrienti o benefici per la salute“, spiega lo studioso. “Nel 2021, l’USDA ha condotto la sua indagine annuale sui residui di pesticidi sugli alimenti nel mercato americano, testando 10.127 campioni alimentari provenienti da nove stati diversi. Si è scoperto che più del 99% aveva residui ben al di sotto dei livelli di tolleranza dell’EPA, che sono cautamente fissati a solo 1/100 di un’esposizione che ancora non causa tossicità negli animali da laboratorio. Gli scienziati alimentari dell’Università della California concludono da tali indagini che i benefici marginali derivanti dalla riduzione dell’esposizione umana ai pesticidi nella dieta attraverso un maggiore consumo di prodotti biologici sembrano essere insignificanti”. C’è poi il mito dei piccoli agricoltori, sempre più distante dalla realtà del bio. “Secondo una stima del 2014, solo l’8% delle vendite di prodotti biologici negli Stati Uniti veniva ancora effettuato da piccoli agricoltori attraverso i mercati degli agricoltori o attraverso l’agricoltura sostenuta dalla comunità. Molti consumatori continuano a pensare che gli alimenti biologici provengano da piccole aziende agricole locali, ma la maggior parte ora proviene da aziende agricole industriali lontane”.

E proprio circa il tema dell’aumento della produzione di cibo nel mondo, Paarlberg racconta: “Il geografo canadese Vaclav Smil ha stimato che senza i fertilizzanti sintetici a base di azoto, il 40% dell’aumento della produzione alimentare richiesta dalla popolazione odierna non avrebbe mai potuto verificarsi. I rendimenti biologici sono inferiori, quindi se spostassimo una maggiore produzione verso il biologico dovremmo anche arare più terra per produrre la stessa quantità di cibo, il che ridurrebbe l’habitat della fauna selvatica e danneggerebbe l’ambiente. L’intuizione ci dice che gli alimenti coltivati senza prodotti chimici sono più “naturali” e quindi migliori per l’ambiente, più sicuri da mangiare e aiutano le piccole aziende agricole locali. Anche il fatto che gli alimenti biologici siano più costosi sembra un motivo per pensare che siano migliori. Ma in questo caso il pensiero intuitivo ci porta nella direzione sbagliata. Se seguiamo la scienza, il cibo biologico perde il suo apparente vantaggio”.