Settembre nel carrello, la resa dei conti: tornano le promozioni, cala il normal trade
Con l’arrivo di settembre i giochi, almeno per i prossimi mesi, dovrebbero essere un po’ più chiari. Il quadrimestre che si apre, infatti, sarà quello in cui si cominceranno a vedere gli effetti dell’arretramento del reddito, con settori che comunque non ripartiranno, o lo faranno con il freno a mano tirato. Il largo consumo confezionato, in questa crisi senza precedenti, è senza dubbio il settore che meglio ha retto, perdendo ‘solo’ il 3% rispetto al -18% della manifattura del suo complesso. Un dato, però, che non deve ingannare: si tratta infatti della più importante perdita di fatturato dell’epoca moderna, per questo comparto. Cui si aggiunge un altro drammatico dato, spesso sottovalutato: il calo di redditività. Se infatti, in termini di volumi, la crescita delle vendite nel canale retail ha compensato, in parte, le perdite dell’out of home, altrettanto non si può dire a valore. Il 30% di vendite che l’industria alimentare realizzava con l’Horeca erano infatti quelle che garantivano la maggiore marginalità. Ma oggi, alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva, che ancorché diversa dal solito ha comunque fermato il Paese, cosa resta dei consumi alimentari nel carrello della spesa e fuori casa?
Fuori casa a macchia di leopardo
Seppur tornato finalmente a marciare, almeno in parte, l’out of home resta complessivamente in grande sofferenza, con alcune eccezioni. Nei centri storici delle grandi città, svuotati di turisti e di colletti bianchi, la situazione è disperante. Meglio va a chi è riuscito a organizzarsi con il food delivery, persino riconvertendo i propri ristoranti in take away per i riders dei diversi operatori. Ma si tratta sempre di grandi città dove, comunque, continuano a mancare le pause pranzo, che tra diretto e indiretto muovevano un indotto significativo, in bar e ristoranti ma anche in Gdo. Se però si chiede a un qualsiasi ristoratore, ad esempio, delle località montane più gettonate, racconterà di una stagione con numeri mai visti e, in molti casi, persino impossibili da soddisfare. Diverso è stato per alberghi e rifugi, che hanno scontato la paura degli italiani di condividere spazi ristretti come quello di una camera.
La distribuzione: crescono i discount, giù la domanda nella prossimità
Se durante i mesi del lockdown abbiamo assistito al boom dei punti vendita di prossimità, oggi c’è un lento ritorno verso le abitudini pre-covid nell’eterna lotta fra normal trade e Gd. Non così, invece, sembra essere per l’e-commerce, che pare aver davvero guadagnato quote e posizioni. A pesare, soprattutto, è l’accesso a questi strumenti delle fasce di età più alte, che costrette dalla contingenza hanno superato un gap tecnologico che si credeva insormontabile. Categorie che, oltretutto, sono alto spendenti e molto sensibili al tema della maggior sicurezza di questo canale nel corso di una emergenza sanitaria. L’unico ad aver sempre sofferto, sia prima che dopo, è l’ipermercato che non accenna a rallentare la sua corsa verso il basso. Tanto più che fare la spesa in fretta, oggi, è diventata un’esigenza sanitaria primaria.
Prezzi: torna a salire la pressione promozionale
Scomparse durante la chiusura, quando certamente l’unico problema che il retail alimentare non ha avuto è stato spingere le vendite, le promozioni tornano a fare la loro comparsa. E così sarà sempre di più, in virtù del difficile quadro economico che ci si aspetta nei prossimi mesi. D’altronde i dati confermano questa necessità: se durante i mesi in cui siamo stati chiusi in casa erano quelli logistici i principali fattori di scelta per l’approvvigionamento alimentare, oggi il prezzo è tornato a guidare la spesa. E così molto punti vendita poco performanti, che hanno conosciuto un’impennata incredibile fra marzo e maggio, sono oggi in netta flessione, a tutto vantaggio di quelli più efficienti.
Il carrello: bene gli alcolici, male le insalate in busta
Finito il lockdown le vendite del largo consumo confezionato, che avevano registrato un autentico boom, si mantengono in territorio positivo, mostrando crescite sugli stessi prodotti, segno che i consumatori si sono abituati a nuove categorie di consumo che tendono a conservare. Performance molto positive, ad esempio, delle bevande alcoliche, soprattutto per le difficoltà della convivialità fuori casa. Così come restano alte le vendite dei prodotti per l’igiene e il cura casa e di quelli classici da dispensa: dalla pasta al caffè, dal latte Uht alle farine. Flettono invece i consumi legati al lavoro, a stili di vita e occasioni che non sembrano prossimi a tornare. E così, le insalate in busta già pronte registrano una drammatica flessione delle vendite, mentre il lievito di birra continua a mantenersi su buoni livelli. Un indicatore sociale, ancor prima che economico, di cui c’è ben poco da gioire: ci sono più tempo e molti meno soldi. E se questo dovesse continuare, come cambieranno le città e il panorama della distribuzione? Per intanto i retailer lavorano sulle revisioni assortimentali, per intercettare bisogni vecchi e nuovi e provare a interpretare l’attesa polarizzazione dei consumi, che dovrebbe essere ancor più marcata che nelle precedenti crisi.