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I formaggi fanno scuola: nella nuova Pac ci sono gli schemi volontari di riduzione dell’offerta per tutti i settori

Durante il trilogo del 24 e 25 giugno scorsi sui tre regolamenti che andranno a comporre la futura Pac (Piani Strategici, Orizzontale e Organizzazione comune dei mercati), è stato raggiunto un accordo politico di massima, almeno sui principali temi. Un’intesa già sottoscritta quasi all’unanimità (con la sola eccezione della Bulgaria) dai ministri agricoli dell’Unione, lo scorso 28 giugno. Il testo sulla politica agricola comune, insieme ai punti tecnici ancora da risolvere, verrà ultimato nelle prossime settimane e dovrà essere sottoposto, in autunno, al voto della Commissione Agri e della Plenaria del Parlamento europeo, nonché alla definitiva approvazione del Consiglio.

La futura Pac entrerà in vigore il primo gennaio 2023, al termine del periodo transitorio previsto per gli anni 2021 e 2022 durante i quali varranno le regole dell’attuale Pac. Tra le novità che sono state rese note in questi giorni, ce n’è una che riguarda i piani di regolazione dell’offerta. Attualmente concesso solo a formaggi, salumi e vini, il meccanismo che consente di regolare l’offerta in deroga alle leggi Antitrust viene ora esteso a tutti i prodotti Dop e Igp. Ma non solo. La normativa che oggi concede solo al settore lattiero caseario di introdurre schemi volontari di riduzione dell’offerta in situazioni di gravi squilibri di mercato, verrà estesa a tutti i settori dell’agroalimentare. Insomma, lungi dall’essere misure temporanee da adottare in momenti particolari, questi sistemi che prevedono il contingentamento della produzione per le denominazioni, che siano Dop o Igp, stanno diventando sempre più strutturali nella politica comunitaria. La ratio di queste norme è difendere il reddito agricolo, partendo dall’assunto che limitare le produzioni favorisca l’aumento dei prezzi e, di conseguenza, la remuneratività del latte. Ma l’uso che se ne fa, e la stabilità con cui questi piani vengono rinnovati, sono in realtà lontani dagli obiettivi dichiarati. Inoltre, quote produttive e potere decisionale sono quasi sempre in capo alle aziende associate dei consorzi di tutela che li introducono. E’ chiaro che, comunque la si pensi, i piani produttivi e la regolazione dell’offerta sono in antitesi con il principio di libera concorrenza, come sottolineato anche dall’Antitrust. Ma l’altra domanda che ci si deve porre è: siamo davvero sicuri che blindare le produzioni sia lo strumento migliore per stare sul mercato mondiale? Il passato, ad esempio la vicenda quote latte e Nuova Zelanda, non sembra raccontare questo. E l’insofferenza dei compratori per le rigidità delle Dop, sul piano internazionale, comincia qua e là a farsi sentire.

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