Il Nutriscore è su smartphone: si chiama Yuka e spopola tra i consumatori
Sono ormai anni che tiene banco il tema del Nutriscore, il sistema di etichettatura a semaforo ideato dai francesi che vede l’Italia fra i maggiori oppositori, con gli operatori preoccupati che questo tipo di classificazione nutrizionale degli alimenti penalizzi alcuni fra i prodotti simbolo del Made in Italy, come i salumi, i formaggi o l’olio. Oggi il governo italiano sembra fiducioso di poter archiviare la pratica del Nutriscore. “Sul Nutriscore abbiamo dato risposte concrete e reali, anche il presidente Draghi dopo l’incontro con il presidente Macron ha dichiarato in modo chiaro la criticità. Lo hanno confermato anche Francia e Spagna”, ha spiegato di recente il ministro Stefano Patuanelli. “Sono fiducioso che sul Nutriscore si possa mettere una pietra tombale o una minoranza di blocco pronta a bloccare eventuali fughe in avanti. Con la Spagna ci confrontiamo ormai in modo costante perché anche in Spagna è cambiato notevolmente il sentimento. Sono fiducioso che sul Nutriscore si possa mettere una pietra tombale con una minoranza di blocco pronta a bloccare eventuali fughe in avanti”. Ma, come spesso accade, la realtà (e la potenza del digitale) supera confini e schieramenti. E così, mentre la politica discute, i consumatori italiani, complice anche la grancassa dei social e il passaparola, il Nutriscore in realtà lo utilizzano già, semplicemente inquadrando con il proprio smartphone i codici a barre presente sulle confezioni di tutti i prodotti alimentari e utilizzando un’app che si chiama Yuka, disponibile per iOs e Android, che sta spopolando on line. Yuka, di recente, è finita nel mirino dell’Antitrust, preoccupata che possa indurre in errore il consumatore. Ma come funziona Yuka? Ed è proprio uguale al Nutriscore?
Yuka: l’app che ha portato il Nutriscore sugli smartphone italiani
“L’obiettivo di Yuka”, si legge sul sito di presentazione, “è aiutare i consumatori a prendere le migliori scelte per la loro salute e spingere i gruppi industriali a migliorare la qualità dei loro prodotti”. Il funzionamento è semplicissimo: una volta scaricata l’app è sufficiente scansionare il codice a barre presente sulle confezioni per accedere alla scheda di valutazione relativa all’alimento, da un database di oltre 1,5 milioni di prodotti censiti. Ma molte delle schede, come vedremo nella seconda puntata di questa inchiesta, riportano errori significativi (ad esempio la presenza di fibre nei formaggi o la totale assenza di grassi o sale) a causa dei quali due prodotti, ad esempio due buste di formaggio grattugiato della stessa tipologia, possono ottenere l’uno il disco verde e l’altro una valutazione arancione o rossa. La prova sul campo ci mostra subito un fatto anomalo: formaggi simili o identici classificati in modi decisamente differenti. E così ci sono gorgonzola rossi e altri verdi, grattugiati consigliati e altri decisamente bocciati. Come si spiega? Semplice, le schede sono piene di errori.
I criteri di valutazione
Yuka, in realtà, è un po’ diverso dal Nutriscore, poiché da un lato ammorbidisce il metodo di calcolo ma, dall’altro, premia i prodotti con certificazione bio e inserisce gli additivi nella valutazione, cosa che il semaforo non fa poiché il tema è ancora oggetto di approfondimento nel mondo scientifico. La valutazione, come spiegano sempre sul sito, avviene basandosi su tre criteri:
1) Le caratteristiche nutrizionali (60% della valutazione)
Il metodo di calcolo si basa su quello di Nutriscore che prende in considerazione calorie, zuccheri, sale, grassi saturi, proteine, frutta e verdura. “Il metodo di calcolo Nutriscore”, precisano, “è stato reso meno rigido nella valutazione Yuka allo scopo di evitare l’effetto cuscinetto proprio di Nutriscore, che può portare a delle differenze di valutazione ingiustificate tra due prodotti con valori nutrizionali simili”.
2) La presenza di additivi (30% della valutazione)
Il quadro di riferimento tiene conto conto delle opinioni di Efa, Anses e Iarc ma anche di molti studi indipendenti. Secondo i risultati delle ricerche esistenti, a ciascun additivo è assegnato un livello di rischio: nessun rischio (disco verde), rischio limitato (disco giallo), rischio moderato (disco arancione), rischio elevato (disco rosso). “In presenza di un additivo che consideriamo ad alto rischio, il punteggio massimo del prodotto è fissato a 49/100. In questo caso, tale criterio può quindi rappresentare più del 30% del punteggio”. I dettagli del rischio associato a ciascun additivo, nonché le corrispondenti fonti scientifiche, sono riportati nell’applicazione.
3) Il bio (10% della valutazione)
Si tratta di un bonus concesso ai prodotti biologici per il solo fatto di godere di questa certificazione.
Miti e leggende sul Nutriscore
Yuka consente anche di sfatare alcuni miti che non aiutano la causa di chi osteggia il semaforo francese: questa battaglia contro il Nutriscore è accompagnata da alcune affermazioni non del tutto corrette. Non è vero che il Nutriscore boccia in toto la dieta mediterranea e promuove solo i cibi ultraprocessati. Boccia i grassi, questo sì, e tira le fila del prodotto esattamente con gli stessi parametri oggi utilizzati per le tabelle nutrizionali che compaiono in etichetta, senza riferimenti alle quantità normalmente consumate e al regime alimentare. Ma non tutti i formaggi sono rossi così come non tutti gli affettati. La pasta in larga parte non lo è, mentre le merendine per la maggior parte sì. A fare la differenza, certamente, è quel giudizio complessivo espresso con un colore che suona sempre, inutile negarlo, come una bocciatura.
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