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Latte: tutti i retroscena dell’accordo che non c’è

Un silenzio assordante sta accompagnando questa nuova puntata della serie sul prezzo del latte. Non ci sono, come tutte le altre volte, roboanti intestazioni del merito dell’accordo, che infatti non c’è, e nemmeno furiose polemiche delle confederazioni agricole. Anzi, tutto tace. Se non fosse per quella lettera ai conferenti Lactalis, quasi il mercato non saprebbe che i parametri del prezzo del latte per questo importante compratore italiano sono cambiati. Come mai sta accadendo? E come si è arrivati alla reintroduzione dell’indicizzazione del prezzo comunicata da Lactalis ai suoi conferenti?

Prezzo del latte: la trattativa di aprile 2023

Cominciamo dall’inizio, ovvero dalla trattativa di fine 2022 che aveva stabilito il prezzo di 57,5 centesimi di euro. Tutti, anche allora, hanno parlato di accordo ma questo, come anche oggi, in realtà non esiste. A fine anno si è trattato di un gentlemen’s agreement, in questo caso Lactalis ha semplicemente comunicato si suoi conferenti come intende procedere. Ma nessuno ha firmato nulla. Eppure, gli incontri fra Italatte, la controllata Lactalis che si occupa della compravendita di latte, e le sindacali agricole ci sono stati. Per ben tre volte i soliti nomi si sono riuniti attorno al solito tavolo, mettendo sul piatto più o meno le medesime cose. E allora perché non c’è un accordo?

Nel corso dei tre incontri si è discusso del mercato, che è tanto cambiato, e della necessità di trovare un sistema per allineare quello del latte agli attuali valori. Ma Coldiretti, è noto, non si siede a un tavolo per far scendere il prezzo. Anche quando in ballo c’è un rotondo 20% di latte in esubero che rischia, a fine anno, di restare senza casa. Gli altri, usano accodarsi. Per tutti, oggi, è chiaro che non si può portare il prezzo, in un sol colpo, al valore di mercato che dovrebbe avere: solo a guardare i numeri, tornati ai valori di gennaio 2022, sarebbe di poco superiore ai 42 centesimi. La discesa dovrà essere guidata perché le difficoltà sono tante per tutta la filiera e più possibile ancorata alle fluttuazioni dei diversi input (che attualmente sono, in gran parte, in netto calo rispetto allo stesso periodo 2022).

I costi degli input alla trasformazione, fonte Clal.it

Cosa fare se non ripartire con un indice, come avviene ad esempio in Piemonte per i conferenti Inalpi? Nessuna altra idea arriva sul famoso tavolo e al terzo incontro Lactalis preme perché si trovi una soluzione, dato che maggio è ormai alle porte. Si comincia, finalmente, ad entrare nel merito. A Confagricoltura e Coldiretti l’indice non piace e preferirebbero un prezzo fisso per tre mesi, a 55 centesimi. Ma l’intesa su un prezzo fisso, oggi, appare difficile da trovare. Troppi 55 centesimi bloccati, troppe le incognite su tutti i fronti. A questo punto, i convitati si trovano d’accordo: l’indice è l’unica possibile via d’uscita. Il sistema, però, era già stato introdotto nei contratti Lactalis, salvo poi essere messo da parte per le critiche del mondo agricolo, fondate, circa la sua efficacia.

Il vecchio e il nuovo indice

Perché non funzionava il vecchio indice? Perché era stato introdotto un tetto alle fluttuazioni del prezzo del Grana Padano, fissato a 7,05 euro al chilogrammo. Con gli attuali corsi, di fatto, una rilevante parte dell’indice non lavorava più (prezzo medio Grana Padano 9 mesi aprile: 9,01 euro/kg, rilevazione piazza di Milano). Così si decide di fare un tentativo: verificare la correttezza delle rilevazioni dell’indice rispetto a quanto è successo nel 2022, lasciando però libero il prezzo del Grana Padano. Risultato: 50,3 contro i 50,9 effettivamente pagati. Dunque, c’è corrispondenza. Ma ancora non basta. Nel periodo estivo, spiegano le sindacali, diventerà difficile tenere il prezzo, che andrà a calare. Così Lactalis rimodula il prezzo base fissato nel 2020, una media di 355 contro i vecchi 352,2, variato però secondo i mesi, con valori più alti d’estate e più bassi in inverno. La controproposta delle sindacali è un prezzo base di 360. Facendo due rapidi conti, oltre 5 milioni di euro di spesa in più. Lactalis accetta. E’ il miglior accordo possibile, sembrano pensare tutti; si scende ma in modo graduale, legato al mercato, e le controproposte sono state accettate dall’industria. L’intesa faticosamente raggiunta prende la normale strada del via libera definitivo dei vertici di Lactalis, che arriva, e si attende solo la firma. Le cifre, intanto, girano fra gli operatori del settore che febbrilmente fanno telefonate, cercano conferme e ragionano sulle prossime mosse. Tutto a posto? No. Passano solo 12 ore e Coldiretti fa sapere che la proposta, accettata al famoso tavolo del terzo incontro, non va bene. La base non è contenta, il vertice si tira indietro. Certo, il passaggio nazionale era previsto ma a finire male, alla fine, è la firma dell’accordo Qui vale la pena fare una precisazione: se il via libera dei vertici di una azienda che dovrà onorare il contratto è prassi normale, diverso è che il prezzo pagato ai conferenti di quella azienda venga votato anche da chi nulla c’entra direttamente con quel contratto. Ma torniamo ai fatti: nel mondo agricolo, a questo punto, si crea una frattura.

Latte, nel mondo agricolo è il caos

Ovviamente è caos totale. Dentro le cooperative legate a Coldiretti, c’è maretta. E così in Confagricoltura. Si intrecciano cariche, fra le sindacali e le direzioni delle cooperative latte, e così la destra comincia a non saper più cosa fa la sinistra. Accetta chi avrebbe dovuto dire no, non lo fa chi aveva detto sì. Ufficialmente silenti le direzioni nazionali probabilmente perché, in questa partita, non c’è proprio nulla da vincere. Qualcuno, dicono i bene informati, ha chiesto perfino di ‘non essere tirato in ballo’. Nel mezzo, per una volta quasi da semplice spettatore, l’azienda resta a vedere lo scomporsi, il fuggi fuggi, i distinguo e lo sbaraglio della controparte. Fino a che, scaduti ormai i termini (siamo al 2 maggio) invia la lettera agli allevatori conferenti di Lombardia e Piemonte, spiegando il cambiamento di mercato e la nuova modalità di fissazione del prezzo grazie all’indice modificato. Che, per aprile, si traduce in 55,3 centesimi in Lombardia e 54,3 in Piemonte. Provando a fare qualche simulazione, se la quotazione del Grana Padano resterà in linea con quella attuale, il prezzo del latte, per il 2023, dovrebbe essere non lontano dal 2022, o perfino superiore. La media, per il semestre, sarà intorno ai 56 centesimi.

E intanto le vendite calano

Ma qui vale fare un’altra riflessione. In modo totalmente schizofrenico rispetto a questa vicenda, la stessa Coldiretti, commentando i dati sull’inflazione, parla di “stagnazione dei consumi con il taglio delle quantità acquistate nel carrello che si riflette sull’intera filiera”. Oggi, nel mercato italiano, la domanda di prodotti lattiero caseari è calata, complessivamente. Perché si compra meno e perché, tornati concorrenziali, i prodotti di atri paesi, in primis la Germania, occupano nuovamente il posto che avevano negli scaffali del libero servizio. Tutti stanno pagando meno il latte, in Europa. Anche in Italia i prezzi stanno scendendo anche perché, se dovesse perdurare la situazione attuale, fra prezzo e domanda, ci sarà latte che faticherà a trovare una destinazione remunerativa, sopratutto nel 2024. Le sindacali, dopo l’ubriacatura della trattativa di dicembre 2022, non potevano perdere la faccia siglando un’intesa al ribasso? La via politica c’era ed era semplice: restarne fuori e ‘dare la colpa’ alle Op. Meglio ancora, forse, sarebbe stato accettare la famosa semestrale a 57 centesimi, che era stata proposta a dicembre e che appariva già allora generosa. Si è preferito tirare la corda. E chiudere con una magra figura quando era chiaro a tutti, già da fine gennaio, che la situazione doveva cambiare. Ma davvero hanno ancora senso queste trattative?

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