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Latte: ma 48 centesimi è davvero il prezzo giusto?

Sta facendo molto, moltissimo rumore la decisione di Granarolo di portare il prezzo del latte conferito dai soci a 48 centesimi al litro (più iva e qualità), dal 1° aprile al 30 giugno. E’ la prima grande azienda a comunicare un prezzo così alto per il latte alla stalla, fuori dalle ben note eccezioni, e questo sta generando reazioni a catena. Granarolo, in questo momento, accetta nuovi soci: sono molti i caseifici che, di conseguenza, si sono visti recapitare lettere o che hanno ricevuto telefonate dai propri conferenti il cui messaggio era sempre lo stesso, cioè ‘lasciatemi andare’. E’ chiaro infatti che questo prezzo fa gola a qualsiasi allevatore, tanto più che, come ha confermato anche il ministro delle Politiche agricole nei giorni scorsi, la zootecnia è il settore più colpito dagli aumenti vertiginosi di queste settimane.

Latte, c’è anche lo spettro della carenza

Come se non bastasse, si va verso una carenza di latte: la razione alimentare per le bovine è schizzata a prezzi mai visti e c’è chi sceglie di macellare i capi per l’insostenibilità dei costi e la difficoltà degli approvvigionamenti. A gennaio, si è registrato un calo delle produzioni di latte dei principali paesi esportatori nel mondo, pari all’1,8%; in Francia la riduzione è dell’1.9%, in Germania del 2,2%, nei Paesi Bassi del 2,1%. In Italia, è salita dell’1,5% rispetto al periodo, in calo, del 2021. E ancora: si va verso la stagione calda, cioè un periodo dove di latte ne serve in genere molto, soprattutto per la richiesta di freschi e mozzarelle, e l’offerta è ovviamente più bassa. La somma di tutti questi fattori sta generando un clima di tensione forse mai visto prima. Ovviamente, la scelta di Granarolo non si sottrae ai commenti del mercato e alle dietrologie. Ci si chiede se, fra le ragioni che hanno spinto il gruppo a questa decisione, ci sia anche la volontà di sparigliare il mercato e mettere in difficoltà i competitor. Il gruppo cooperativo ha senza dubbio una visione internazionale, ha raccolte in Germania ed è abituato a comprare molto spot. E’ indubbio quindi che abbia tutto l’interesse a portarsi a casa latte italiano a 48 centesimi, sottraendolo ad altri, anche in considerazione del ribasso delle produzioni. 

Qual è oggi il prezzo giusto? La risposta è nei payout

In queste ore, alcuni caseifici, sopratutto fra i produttori di Grana Padano Dop, hanno scelto di seguire la scia di Granarolo e offrire lo stesso prezzo per lo stesso periodo, anche per evitare di trovarsi senza il latte necessario per produrre. Altri, invece, lamentano l’impossibilità di arrivare a queste cifre perché il mercato non lo consente. Ma, allora, 48 è o non è il prezzo giusto per il latte italiano, in questo momento? Per capirlo, conviene anzitutto affidarsi ai numeri del mercato, che più di tutti possono rispondere a questa domanda.

Il primo dato a cui guardare è la resa del latte, cioè la remunerazione data da burro+Smp. Polvere e burro, in ambito Ue, rappresentano infatti una delle destinazioni più richieste dal mercato ed è quindi un indicatore importante dell’andamento del prezzo del latte in Europa. Su questa base, Clal.it utilizza i prezzi all’ingrosso di polvere e burro definiti sul mercato di Hannover (burro) e sui mercati tedeschi (polveri), per ricavare, con un calcolo matematico, i possibili indicativi prezzi del latte alla stalla utilizzato per la loro produzione. Qual è il payout di burro+smp? Oggi, secondo i dati elaborati da Clal.it, è 68,17, ben 20 centesimi al di sopra dei famosi 48. Il payout del Grana Padano, con una quotazione della Dop a 9 mesi di 7,75 euro al chilogrammo, è di 55,07. Questo significa che oggi è possibile pagare il latte 48 centesimi, orientando le produzioni e allineando i listini al mercato. E qui c’è uno dei nodi spinosi di tutta questa vicenda: gli aumenti. A marzo l’inflazione ha raggiunto, in Spagna, il +9,8%, mentre in Germania il +7,3%. In Italia, secondo i dati preliminari Istat, è al 6,7% e l’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari al consumo è del +5,5%. La pressione promozionale è altissima e tutti gli appelli all’aumento dei listini sono, per il momento, caduti nel vuoto. Ma è chiaro che il prezzo di questo braccio di ferro non possono pagarlo gli allevatori, come invece in alcuni casi sta accadendo. Oltretutto, mai come oggi, chi fornisce il latte sta smettendo di recitare il ruolo di anello debole della catena: il latte serve e ce n’è poco, in tutta Europa, tanto che sono sempre di più le cisterne che varcano i confini nazionali per consegnare in mercati che, fino a poco tempo fa, erano i nostri fornitori, come la Germania.

Lo spot, in questa stagione, vale sempre meno del latte alla stalla

C’è anche un altro dato interessante da prendere il considerazione: a marzo e aprile, storicamente, il prezzo dello spot è sempre stato prossimo o più spesso inferiore a quello del latte alla stalla. Prendendo in esame gli ultimi quattro anni, in Italia, questo emerge molto chiaramente: 

E oggi? Da diverse settimane lo spot viaggia stabilmente sopra i 48 centesimi. La conclusione, insomma, è semplice: sì, 48 è il prezzo di mercato, anche minimo in molti casi. Ed è forse arrivato il tempo che i listini si sblocchino e che i rapporti di filiera cambino. Perché oggi è il mondo intorno a noi che sta cambiando, e molto velocemente. Altrove, si è usato perfino il pugno duro, vincolando le consegne dei prodotti a prezzi adeguati al mercato, anche a costo di perdere qualche fornitura. Anche in Italia sembra dunque arrivato il momento di ripensare alle trattative. Serve coraggio, certamente. Ma nei periodi straordinari è l’ingrediente più importante per superare le difficoltà.