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Bellanova si dimette, interim a Giuseppe Conte. Ma l’agricoltura, anche questa volta, non c’entra nulla

Teresa Bellanova non è più ministro delle Politiche agricole. Ma, come sanno anche le pietre, la decisione non ha nulla a che vedere con i temi agricoli. Come, del resto, tutta l’attività del ministro in quota Renzi nelle ultime settimane (o mesi). Ancora una volta, infatti, il ministero dell’Agricoltura si trova al centro dell’attualità politica ma non certo per i ragioni legate alle sue competenze. Ma anche nel corso del suo mandato, Bellanova non ha particolarmente brillato nell’affrontare i tanti argomenti caldi del mondo agricolo e alimentare.

Dal caporalato ai 5 miliardi persi per l’agricoltura

Di lei si ricorderà la battaglia sul caporalato e ben poco altro. Anche se ci sarebbero molti passi falsi da evidenziare, come la recentissima bocciatura in commissione dei decreti sulle Nbt, le tecniche di miglioramento genetico per l’agricoltura, che sono cosa diversa dagli Ogm e possono rendere più resistenti e produttive le colture. O anche i raffazzonati interventi sul Nutriscore, che intanto è realtà, o su Farm to Fork, il progetto europeo che prevede di trasformare il 25% dei terreni agricoli Ue in biologici. O ancora la segnalazione all’Antitrust di caseifici, soprattutto pugliesi, messi in difficoltà durante lo scorso lockdown dalla chiusura del canale Horeca e che hanno reagito abbassando i prezzi del latte. Quando il compito di un ministero dell’agricoltura, prima che segnalare, dovrebbe essere intervenire direttamente sui problemi del mondo agricolo. Ci sono poi i fondi per la ristorazione assegnati solo per i prodotti Made in Italy e c’è, soprattutto, lo scandalo dei ristori di agosto dei quali si parla ancora oggi, ovviamente perché non sono arrivati. E proprio di queste ore è anche il taglio di 5 miliardi di euro per l’agricoltura all’interno del Piano di resistenza e resilienza (Pnrr), problema di cui Bellanova, pur essendo protagonista della crisi, non ha mai parlato in nessuna dichiarazione pubblica o politica. Sui social, le reazioni del mondo agricolo e agroalimentare si possono riassumere in una domanda: “Perché, avevamo un ministro?” Il problema di fondo, però, è che ormai da tempo l’agricoltura non può contare su un ministro laico (rispetto alle sirene delle più potenti sindacali, leggi in primis Coldiretti), impegnato e con uno staff davvero competente. Nei commenti di queste ore più di un opinionista si è addirittura rallegrato del fatto che il governo non abbia perso ministeri chiave. Tutto questo dimenticando che l’agroalimentare vale circa il 25% del Pil, un dato che i politici sembrano ricordare solo quando c’è da inaugurare una fiera o partecipare a un convegno. Ieri è giunta la notizia dell’interim assunto dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che non fa altro che evidenziare il dato di fondo: l’agricoltura è senza guida, il paese senza un governo. Magari è meglio così.

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