trasformazione & dintorni

Cosa insegnano la bufala del vino annacquato e del “latte” ai piselli

Molto rumore per nulla. Questo il sintetico riassunto dei tormentoni di questi ultimi giorni: quello del vino senza alcol per cui si sta discutendo, in sede Ue, la possibilità di aggiunta di acqua nel processo di produzione e quello di una nuova alternativa vegetale al latte, realizzata con i piselli. Nel caso del vino, per l’ennesima volta, la fonte di tanto inutile chiasso è sempre la stessa: un nuovo forviante comunicato di Coldiretti, che come da tradizione grida “al lupo, al lupo”, quando di pericoli reali all’orizzonte se ne vedono pochi. Almeno, ad andare a verificare fino in fondo l’ennesima “notizia” che notizia in realtà non è. Perché nulla è stato deciso, come spiega bene questa puntuale ricostruzione. E, in ogni caso, nessuno sta minacciando il vino italiano.

Negli stessi giorni, ha tenuto banco un’altra notizia, cavalcata da giornali ed esponenti politici, ovvero quella del “latte di piselli”, promosso su Linkedin dal vicepresidente di Nestlé Bart Vandewaetere, che ha scritto: “Con questa nuova alternativa al latte, fatta con piselli gialli frullati del Belgio e della Francia … Per ora in Francia, Paesi Bassi e Portogallo, ma altri in arrivo. Salute!” Ovviamente, buona parte della stampa ci è andata a nozze. Certo, il titolo veniva proprio facile – “Insetti, vino annacquato e latte di piselli. Il bizzarro menu del futuro secondo la Ue” (tanto per citarne uno) – ma ancora una volta questa vicenda è stata ed è una dimostrazione di superficialità della stampa, e non solo, di casa nostra. Ma ci sono molte cose che possiamo imparare.

Coldiretti e la demonizzazione della Ue

La Ue, che piaccia o no, è anche casa nostra. Eppure continuiamo a comportarci come se fosse qualcuno che si è insediato nottetempo nel nostro soggiorno e pretende pure di dettare le regole. Esemplificativo il comunicato stampa di Coldiretti, che si inventa persino una fantomatica presidenza del Consiglio dei Ministri Ue (che ovviamente non esiste) per gridare al complotto del vino annacquato. E tutti scandalizzati a moltiplicare l’allarme via social gridando all‘inganno “legalizzato per i consumatori che si ritrovano a pagare l’acqua come il vino che non potranno neanche fare appello alla tradizionale canzone popolare romanesca ‘La società dei magnaccioni’ di Gabriella Ferri che recita: Se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua, E noi je dimo e noi je famo, C’hai messo l’acqua Nun te pagamo ma però”.

Già Jacopo Cossater su Linkiesta ha spiegato in maniera chiara tutti gli errori contenuti nella denuncia di Coldiretti e i contorni di una polemica enologica che di fatto non esiste. E successivamente anche nella sezione dedicata alle questioni comunitarie, la redazione del magazine online Il Post ha ricostruito con dovizia le posizioni dei principali attori della filiera e i contorni di un negoziato complesso: quello sulla nuova Pac e l’Organizzazione comune dei mercati. Se dunque, in merito, si rimanda ai due articoli, per evitare di ripetere il già detto, quel che preme sottolineare è l’ennesimo cortocircuito comunicativo accesso da Coldiretti contro le istituzioni europei nelle quali conviene lavorare seriamente, visto che ci siamo, invece di collezionare figuracce a ripetizione. 

L’export, il mercato e il consumatore

E se tutto è ancora in discussione, c’è sottolineare che il tema è d’interesse lato export e occorre sia affrontato con precisione. Per ciò che concerne il vino, ci sono paesi e consumatori che l’alcol no, proprio non lo vogliono, esattamente come accade alla birra. In cuor nostro pensiamo che il vino, cioè quello con l’alcol, sia un pezzetto della felicità delle nostre vite? Nessuno ce lo vieta. Ma, esattamente come per la vicenda del caglio animale in India, sono i mercati che guidano. E rispondere alle loro richieste è fondamentale, se si vuole sopravvivere. Il business è questo, a tutti i livelli: stimolare e intercettare una domanda, cui rispondere meglio degli altri. Quanto al ‘latte di piselli’, nulla di nuovo sotto il sole. Le alternative vegetali, che siano di soia, riso, farro, avena, quinoa etc etc, esistono da decenni. I piselli sono solo l’ultima novità, che si aggiunge alle altre. Niente di nuovo, se non la forza comunicativa di una multinazionale capace di farne parlare. E un altro dato: la puntualizzazione della A totalizzata nel Nutriscore. Che ci dice una cosa: l’importanza che queste aziende stanno dando alle alternative al latte e al tema del Nutriscore sono purtroppo un segnale molto forte rispetto alle proteine animali, che richiede reazioni altrettanto forti e decise, che ancora non si sono viste. E ancora più forte rispetto al Nutriscore, cui – è notizia di questi giorni – anche McDonald’s ha deciso di aderire.

L’Europa, il vino, l’acqua, i piselli e le “belle gioie” dell’informazione

E poi c’è un altro capitolo dolente, quello della stampa. Qualcuno, pochi, si è preso la briga di andare a capirci qualcosa dentro queste due faccende. Scrivendo pezzi bellissimi che riconciliano con questa professione. Altri hanno candidamente ammesso di “averci capito poco nel comunicato di Coldiretti, ma intanto pubblichiamo che poi si vedrà”. E poi ci sono le “belle gioie” dell’informazione, quelle che dicono e credono di avere sempre una marcia in più. Autoproclamandosi professionisti liberi e indipendenti in meno di un amen, si affrettano a vergare articolesse pungenti, facendo da eco a chi in quel momento è à la page, confezionando “presunti casi” promettendo di voler aprire il dibattito, in realtà puntano a prendersi la ribalta per qualche minuto, rifuggendo però dall’opportunità di provare a capire per bene come stanno le cose, per poi scoprire irrimediabilmente che erano ben diverse da come le avevano immaginate o raccontate. Ma la sudditanza a Coldiretti, che sia per comodità, per riempire le pagine o perché ci sono poteri forti davvero, è pericolosa per tutti. In primis per chi nel settore agroalimentare ci lavora e dovrebbe essere aiutato a farlo.