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Gian Marco Centinaio, intervista esclusiva al nuovo sottosegretario: “Il Mipaaf deve offrire una visione, per le emergenze bastano i burocrati”

Venerdì, tardo pomeriggio. Il senatore Centinaio risponde al telefono dopo un paio di tentativi a vuoto. È normale sia così: l’ultima riunione si è protratta più di quanto preventivato e ora bisogna rimettersi in strada per raggiungere il prossimo incontro. Sono giorni convulsi, non c’è tempo da perdere e serve ragionare con tutte le filiere. Gian Marco Centinaio, dopo l’esperienza come ministro dell’Agricoltura, è tornato al Mipaaf, ma nelle vesti di sottosegretario. I perché della sua scelta li abbiamo già spiegati. Ora, però, è del domani che vogliamo parlare. Di quale sia la sua visione e il contributo che potrà dare con il nuovo incarico alla ripartenza dell’agroalimentare italiano. Comincia così la nostra intervista al sottosegretario all’Agricoltura. 

Senatore Centinaio, come è stata innanzitutto questa prima settimana dopo la nomina?

Piena di giornate non facilmente programmabili. Si corre da una riunione all’altra, ma finché il ministro non comunica a noi sottosegretari quali deleghe ha scelto di affidarci, possiamo solo prendere atto di quel che il mondo dell’agroalimentare nel suo complesso condivide con noi, ma non prenderci impegni diretti con i nostri interlocutori.

Ma come ha reagito il mondo dell’agroalimentare alla sua decisione di riprendere da sottosegretario il lavoro che in precedenza l’aveva visto impegnato da ministro?

Avverto un grande entusiasmo attorno a me per il nuovo ruolo assunto all’interno del Governo. Ma a tutti, io sempre ricordo: nel nuovo esecutivo, Gian Marco Centinaio fa il sottosegretario, non il ministro. Un passo alla volta, dunque: io mi impegno ovviamente a fare di tutto per risolvere qualsiasi problematica mi sarà sottoposta, ma nelle corrette modalità delle funzioni che mi saranno affidate e nei giusti tempi.

Quando scoprirà quali deleghe riceverà dal ministro Patuanelli?

Incontro il ministro Patuanelli questa settimana. Non so se già dopo il nostro confronto riusciremo a comunicare quelle che saranno le deleghe. Ovviamente mi presenterò all’incontro con una serie di dossier aperti, rispetto a filiere e tematiche che ho avuto modo di seguire in maniera più puntuale nella mia precedente esperienza di Governo, e domanderò di poter proseguire nel lavoro. Poi, chiaramente, ci sarà da confrontarsi su quelle che sono le intenzioni e gli impegni che intende assumersi in prima persona il ministro in tema di agroalimentare.

Ma qual è l’apporto che vuole portare Gian Marco Centinaio all’interno del Mipaaf da sottosegretario?

Quel che vorrei convincere il ministro a fare – indipendentemente dalla prospettiva, che possiamo condividere o meno, rispetto alla durata di questo esecutivo e anche in ottica Piano nazionale di ripresa e resilienza, Pac e Recovery fund – è di improntare una strategia che abbia visione. 

In che termini?

Il Mipaaf è chiamato ad avere una visione. Quel che tutti abbiamo sempre visto è un ministero dell’Agricoltura che si è sempre arrestato al primo passo: quello della gestione delle emergenze. Nel mio mandato come ministro avevamo impostato un lavoro che, tuttavia, a causa della conclusione dell’esperienza di Governo, non è giunto al secondo step. Per seguire le emergenze, infatti, un burocrate è più che sufficiente. Quel che serve oggi è un ministro e un ministero che diano una visione a breve, medio e lungo termine all’intera categoria. Questo è proprio quello che in passato ho cercato di fare. Avevamo anche aperto il tavolo di confronto con le diverse associazioni per impostare una visione di settore, ma poi la caduta del Governo Conte I ha interrotto il lavoro che era stato intrapreso. A mio avviso, è ancora questa la direzione che occorre prendere oggi. La Spagna e la Francia lo fanno già da tempo. E non si può restare a guardare gli altri Paesi che investono su categorie reputate fondamentali per le loro economie, mentre in Italia continuiamo a far valere il principio del “dare a tutti”: una filosofia che poi, concretamente, non supporta nessuno. 

Qual è la sua proposta in merito?

Abbiamo alcuni prodotti che oggi sono maggiormente riconosciuti in giro per il mondo rispetto ad altri: solo per lanciare qualche spunto e non essendo definitivi nell’elenco, penso al vino, all’olio, al grano e dunque alla pasta, agli agrumi, al latte e ai formaggi, ai salumi. Ed è partendo da queste eccellenze che si deve costruire la politica agricola del nostro paese per i prossimi anni. Poi, è chiaro che nell’immediato le emergenze sono importanti e vanno seguite: ma questo guardare oltre è la mia idea di un Mipaaf con una visione.

Occorre, dunque, pensare a un’azione di più ampio respiro?

Serve far interagire tra loro i diversi settori in grado di dialogare. Io arrivo dal mondo del turismo, come è noto. E allora porto l’esempio di una categoria oggi in forte crisi a seguito della pandemia: quella degli agriturismi. A riguardo, occorre ragionare su collaborazioni funzionali, come quella che può nascere tra Mipaaf e ministero del Turismo. Il premier Draghi ha affermato che proprio quest’ultimo settore sarà al centro di una parte considerevole delle nuove risorse stanziate dal Governo. Allora, forse è il caso che agroalimentare e turismo si parlino e ragionino di progetti comuni per rilanciare contestualmente più ambiti, con reciproco beneficio. 

Anche con il Mise è possibile fare fronte comune?

Assolutamente sì. Penso a un ragionamento che andrebbe fatto con quest’ultimo dicastero e con quello della Salute sul tema etichettature. Il Mipaaf è un ministero molto trasversale e non può più limitarsi solo a essere il “ministero delle rivendicazioni del sindacato agricolo”. Lo dice il nome stesso: le politiche sono anche alimentari. Di conseguenza, deve essere un ministero capace di interagire ed aprirsi. Nella mia precedente esperienza avevo trovato buoni interlocutori nel Mise di Di Maio e nel Minsal di Giulia Grillo. E oggi, in questa nuova stagione che si apre, il Mipaaf può essere perno e traino di uno dei settori centrali per il rilancio economico italiano.

Ma il mondo dell’agroalimentare, sulla base della sua esperienza, è disposto a dialogare con gli altri mondi?

Porto un esempio concreto. Nei 14 mesi in cui spostammo le competenze del turismo all’agricoltura, l’unica componente a non comprendere l’importanza del passaggio – ahimè! – fu la politica. Di tutti gli interlocutori con cui mi sono confrontato e a cui ho spiegato la mia visione, non ce n’è stato uno a essersi opposto e a non condividere la mission che ci eravamo preposti. Sempre più turisti, infatti, si muovono per scoprire non solo panorami mozzafiato, ma anche nuovi gusti. Si viaggia per visitare una cantina o per assaggiare le mille eccellenze della Food Valley, dal Parmigiano Reggiano all’Aceto Balsamico. E ragioniamo anche sugli scenari post Covid-19, con sempre più turisti che oggi scelgono di spostarsi in “aree minori”, destinazioni rurali dove trovare “meno confusione”. Io che arrivo dall’Oltrepò Pavese assisto con i miei occhi alla nuova stagione che sta vivendo questo territorio, con il boom di milanesi ad aver riscoperto le sue magnifiche location per tanti anni “ignorate”, anche se si trovavano proprio lì “dietro casa”. E queste dinamiche aprono a circoli virtuosi, anche per quel che riguarda la promozione e la valorizzazione delle eccellenze agroalimentari.

In tema di promozione, pensiamo ad esempio all’Ocm vino, c’è modo di accelerare per il made in Italy?

Ci sono margini di manovra e la possibilità di accelerare anche in tema di utilizzo delle risorse per la promozione. Lo ripeto ancora una volta: a mio avviso, questo è discorso che si lega alla valorizzazione dei singoli territori. L’Ocm vino, ad esempio, esiste, ma serve che sia speso e investito in maniera diversa. Non lo dico oggi che sono soltanto sottosegretario, ma lo affermavo già quando avevo la titolarità del dicastero: le risorse per la promozione sono sempre state utilizzate facendo, di fatto, tutti scontenti. 

Come occorre procedere, dal suo punto di vista?

Da una parte, serve andare nella direzione che chiede il mercato: questo è imprescindibile. Dall’altra, è necessario allargare l’orizzonte dei ragionamenti. A mio avviso, serve mettersi attorno a un tavolo dove far sedere chi ha la responsabilità per il mondo del vino dei fondi Ocm, poi Ice-Agenzia con le sue risorse che spesso non sono sfruttate appieno, infine l’ambito del turismo con Enit. Da lì indicare con chiarezza chi è l’ambasciatore dell’agroalimentare italiano: il vino. E questo lo dico non per sminuire le altre eccellenze, ma perché è un dato di fatto in termini di risonanza mondiale. Detto questo, il vino è prodotto e territorio. E allora: Ice-Agenzia valorizza il prodotto, Enit il territorio. Si fanno convergere sui progetti le risorse, le competenze e i fondi. E tutti insieme si va a fare promozione: dei territori e dei prodotti. Esattamente come fa la Francia. 

In sostanza, il made in Italy dovrebbe imparare una volta per tutte a “fare squadra”?

Esattamente. E spiego perché è importante raccontando quanto mi è accaduto in occasione di quello che fu il mio primo viaggio istituzionale in Cina. Allora, il ministro delle Dogane cinese mi spiegò quanto noi italiani non fossimo strutturati nella comunicazione dei nostri prodotti e dei nostri territori. A differenza dei francesi, che quando si presentano sono bravi a promuovere in maniera unitaria e coordinato ogni aspetto. Se continuiamo a buttare via soldi, supportando ciascuno il proprio “orticello”, non cresceremo mai in quanto Sistema Italia. 

Qual è la “ricetta Centinaio” a proposito?

La mia proposta è sempre quella che avanzai quando ero ministro: mettiamo insieme gli enti di promozione dello Stato e facciamo in modo che il vino sia l’ambasciatore capace di aprire la strada a tutto quello che ad esso si lega. Ed è così che valorizzo ancor di più il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il Prosciutto di Parma e il San Daniele, l’Aceto Balsamico e tutte le altre eccellenze tricolori. Oggi, però, è un calice di vino, una bottiglia e una cantina a fare spostare gli amanti dell’enogastronomia, ma non solo. E allora impariamo a fare sinergia, costruendo percorsi che portino poi a tutte le straordinarie ricchezze dei nostri territori.

Però serve anche non fermarsi al solo mondo delle Dop quando si parla di promozione dell’eccellenza italiana, non pensa? 

Sono d’accordo che occorre valorizzare anche le specificità “fuori” dai più tradizionali “standard” di produzioni a Denominazione. Non me ne vogliano i puristi, ma occorre anche promuovere e puntare su quella che può essere la “vena d’artista” di ogni singolo produttore: supportare la grande risorsa della specifica creatività di un’impresa.

Gian Marco Centinaio, nel suo nuovo incarico di sottosegretario, che promessa si sente di fare al mondo dell’agroalimentare italiano?

Quel che prometto alle aziende e al mondo dell’agroalimentare è di tenere alto l’impegno e l’attenzione sul settore, facendo sì che le realtà di questo comparto non subiscano alcun tipo di concorrenza sleale. E non mi riferisco soltanto alle più classiche dinamiche di mercato, ma anche a quegli attacchi che oggi spesso minano una tradizione agroalimentare di grande vitalità e valore. L’Italia, infatti, è un paese da vedere, da mangiare e da bere. E continuerò a ripetere e difendere questo principio così semplice, ma così vero. Il mio impegno sarà proprio questo: sostenere con i miei sforzi il Paese a diventare sempre più moderno, ma facendo sì che conservi uno dei suoi punti di forza e di orgoglio nel proprio agroalimentare.

E, dall’altro lato, cosa domanda Gian Marco Centinaio alle aziende italiane?

Quello che domando al mondo dell’agroalimentare è di non fermarsi al classico “borbottio”. Spesso, infatti, mi sono trovato davanti a lamentele che davanti al ministro non si concretizzavano in proposte condivise e condivisibili su cui poter avviare un lavoro. Alle aziende chiedo di non vedere la politica come un nemico o un limite, ma come opportunità capace di aprire delle porte. Sfruttare la possibilità, sollecitandolo attivamente, di un Mipaaf che si impegnerà nello spingere la macchina burocratica a essere amica delle imprese. Ecco, riprendendo la domanda di prima, questo è un altro impegno che vorrei prendermi: limitare il più possibile la burocrazia, che in Italia è opprimente. E non solo per chi fa impresa, ma anche per chi fa politica. Le “incazzature” più forti io le ho sempre avute quando andando sui territori le aziende mi dicevano: “Guarda, quante limitazioni ci impone la burocrazia, non dandoci risposte o imponendoci ostacoli con regolamentazioni che altrove in Europa non esistono”. Serve impegnarsi tutti per armonizzare l’ambito burocratico, cosicché smetta di rappresentare un ostacolo.

L’ultima domanda è dedicata a un altro comparto strettamente legato a quello dell’agroalimentare: torneremo già in questo 2021 a partecipare alle fiere? E Vinitaly a giugno, secondo lei, potrà andare in scena?

Ovviamente tutto dipende dall’andamento della pandemia, ma io spero vivamente che si possa ritornare al più presto a fare fiere. Ho partecipato, a fine 2020, all’ultima edizione di Ttg Travel Experience di Rimini andata in scena in presenza con tutte le attenzioni e le limitazioni del caso. E dico che in un mondo martoriato dalla pandemia, è bastata una fiera e il guardarsi in faccia per ridarsi coraggio a vicenda. Dunque, questo è il medesimo augurio che faccio per Vinitaly: se deve servire ad affermare davanti al mondo che il sistema fieristico italiano ha retto l’urto, che Veronafiere non ha perso la sua centralità, che la kermesse si ribadisce tra i più importanti riferimenti a livello globale quando si parla di vino, se ci fosse anche soltanto l’1% di possibilità di fare la manifestazione, io la farei. A mio avviso, dare vita a Vinitaly 2021 vuol dire mandare un messaggio di fiducia: innanzitutto, a tutti i produttori. Poi, chiaramente, non è detto che potranno partecipare tutte le aziende, o che saranno presenti i tanti buyer extra Ue cui eravamo abituati, o ancora che non si possano trovare soluzioni per convogliare una parte delle attività e dei servizi online, ma la fiera in presenza servirebbe a evidenziare che siamo lontani dal cantare il de profundis a questo settore.

E se si farà Vinitaly, io a Verona ci sarò.

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