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Il gelato come fonte di proteine animali e vegetali: l’ultima novità Brazzale

Quello del gelato, solo in Italia, è un universo che comprende 38mila imprese con 5 miliardi di euro di consumi e 90mila addetti. Ma è anche un mondo in rapida, profonda trasformazione che continua a fare i conti con il tema della destagionalizzazione cui si sono uniti anche la sostenibilità, le nuove tendenze alimentari, frutto anche di un’attenta ricerca delle materie prime, e quelle dietetiche. Oggi il gelato ha mille declinazioni: accanto ai gusti più classici si trova il senza lattosio, il salato gourmet, il glutee free ma anche il vegetale e quello con ridotto apporto di zuccheri. L’obiettivo è chiarissimo: accogliere ed accontentare tutte le esigenze, che siano alimentari, dietetiche e di gusto. Portando il gelato, sempre di più, a ricoprire il ruolo di vero e proprio alimento.

Senza dimenticare la sostenibilità, che anche nella produzione del gelato assume una rilevanza crescente, con una consapevolezza e un impegno maggiore nell’adozione di processi produttivi sempre più efficienti e trasparenti per ridurre l’impatto sull’ambiente, promuovere uno stile di vita sano e comunicare un’attenzione anche agli aspetti sociali. In questo universo in grande fermento Brazzale, nell’ultima edizione di Sigep, ha aggiunto un tassello alla gamma di Gelato Superiore Fratelli Brazzale, realizzato con il burro dell’azienda. Si tratta di un gelato ‘fonte di proteine’, che coniuga il meglio delle proteine del latte a quelle vegetali. Una assoluta novità che è il frutto del lavoro di ricerca del Brazzale Science Center, diretto dal professor Fernando Gabriele Giorgio Tateo, Ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari UniMi, e della professoressa Monica Bononi, Associato di Scienze e Tecnologie Alimentari UniMi. E sono proprio i due scienziati a spiegare le ragioni dell’Unione fra due diverse fonti proteiche, in un dettagliato articolo pubblicato sul sito del centro di ricerca, che pubblichiamo di seguito.

Il gelato come alimento con funzione di “fonte” di proteine sia di natura lattea che di natura vegetale

“Quando si affronta il tema della utilità o necessità dell’assunzione di proteine è bene tener presente che non è sempre equivalente dal punto di vista biologico-salutistico l’assunzione indiscriminata di proteine di ogni origine, indipendentemente dalla fonte e dalla loro identità strutturale.

Per affrontare in modo consapevole il tema, è opportuno acquisire preliminarmente quel minimo di informazione di base che serve a meglio comprendere che per sua attitudine l’organismo umano non si serve di sostanze organiche senza mostrare preferenze e rispondendo al solo fattore “quantità”. L’organismo umano tenta il più possibile di vivere in equilibrio con il mondo circostante e ciò fa anche inconsapevolmente guidando all’assunzione degli alimenti in modo differenziato, equilibrando in tal modo l’assunzione di principi nutritivi in modo che possa riuscire spontaneamente a selezionare e ritenere ciò che più è utile al metabolismo cellulare e conservare un equilibrio dettato dal creato. Alla correlazione fra piacere alimentare e stato di salute l’uomo ha dovuto dunque far caso, sì che con l’intervento dell’indagine scientifica ha in seguito potuto giustificare scelte che con il solo istinto non avrebbe potuto guidare in modo biologicamente corretto.

Ancora oggi, ad esempio, l’uso generico del termine “proteine” non è sufficiente a caratterizzare un regime alimentare in modo rispondente a canoni biologicamente corretti, così come voluti ed impressi dal creato. Non bastano, di fatto, le preferenze basate sull’appetibilità o sulla volontà di rispettare talune classi viventi per ragioni di intima sensibilità a condurre sulla retta via dei consumi alimentari: la biochimica infatti impone oggi le sue leggi indipendentemente da canoni dettati da “filosofie di vita”.

Generalità sulla struttura organica delle proteine e sul valore proteico

Il mondo delle “proteine” costituisce uno dei campi di conoscenza su cui è opportuno entrare nel merito in modo preliminare dal punto di vista della loro struttura organica perché si possa comprendere in cosa consista il fondamento della macrodistinzione fra proteine di origine animale e proteine di origine vegetale.

La struttura proteica, quale che sia la fonte, è comunque di natura polimerica e le unità costitutive sono comunque gli aminoacidi, molecole bipolari ognuna delle quali presenta terminazioni di struttura acida (-COOH) e terminazioni di struttura basica (-NH2). Le catene polimeriche costituenti la struttura proteica sono di dimensione molto variabile (o anche ramificata), e formate da legami testa-coda fra singoli aminoacidi: la loro diversificazione è dovuta al numero di unità aminoacidiche costituenti le catene polimeriche e dalla loro tipologia (23 differenti tipologie disponibili e ripetibili in catena). Uno dei compiti della scienza della nutrizione è quello di studiare il valore proteico di “accoppiate” fra alimenti assunti quotidianamente, al fine di valutare se questa contengano o meno la quota proteica utile perché si possano assumere gli aminoacidi “essenziali” in modo bilanciato. Occorre infatti aggiungere, come nota necessaria a quanto ora affermato, che sono definiti “aminoacidi essenziali” quelli che l’organismo umano non può produrre in proprio, ma che devono necessariamente essere assunti attraverso gli alimenti.

Il valore proteico di un alimento risulta conseguentemente legato alla tipologia di aminoacidi costituenti le catene proteiche dell’alimento stesso ed al loro maggiore o minore tasso di presenza, laddove il “valore proteico” maggiore o minore di una proteina rispetto ad un’altra risulta in definitiva correlato alla maggiore o minor presenza di aminoacidi essenziali nelle due catene proteiche a confronto. Ma il valore proteico risulta anche correlabile ad una caratteristica biologicamente valutabile, legata alla struttura risultante della catena di aminoacidi che la compongono: tale caratteristica è quella della “digeribilità”.

Il valore di una proteina, in definitiva, è misurabile attraverso un indice definito dall’OMS come il PDCAAS (Protein Digestibility Corrected Anino Acid Score) che riflette il valore oggettivo degli aminoacidi costituenti la catena proteica corretto attraverso la digeribilità della proteina risultante.

Passando a considerare mediamente il valore delle proteine di origine diversa (animale, vegetale) scaturisce la considerazione del maggior valore medio delle proteine di origine animale rispetto a quello delle proteine vegetali. Arricchendoci delle nozioni trasmesse prima, si conclude che gli aminoacidi essenziali sono statisticamente più rappresentati nelle catene proteiche di origine animale più di quanto lo siano nelle catene proteiche di natura vegetale. I dati di digeribilità non smentiscono i maggior valore globale delle proteine di origine animale.

Gli alimenti di origine vegetale, invece, più ricchi di fibre, non permettono all’organismo di metabolizzare ad alto grado tutte le proteine ed il risultato è quello di disporre di proteine con un indice di digeribilità minore. Inoltre le varie proteine di origine vegetale presentano una distribuzione di aminoacidi essenziali meno uniforme, e presentano varie carenze in talune specie.

La tecnologia degli alimenti può in certo modo “correggere” il minor valore proteico di alcune proteine vegetali rispetto ad altre della stessa origine: per rendere ottimale la distribuzione e disporre di contenuti equilibrati in distribuzione aminoacidica si usa adottare il principio del compenso, accoppiando nel consumo fonti proteiche povere in taluni aminoacidi essenziali con fonti proteiche che preferibilmente ne contengono in misura mediamente maggiore. Un esempio classico di compenso è quello che consiglia l’accoppiamento di cereali e legumi in alimentazione.

A creare svantaggi nutrizionali per le proteine vegetali v’è da considerare la presenza di elementi antinutrizionali in varie fonti vegetali (ossalati, fitati, ad es.); si adottano tecnologie speciali per l’eliminazione di tali deterrenti della digeribilità.

Seguendo i dati di assunzione di riferimento di nutrienti (LARN) le proteine devono fornire il 15-20% dell’energia totale giornaliera, tenendo conto che i naturali processi di demolizione determinano nell’organismo una perdita di 20-80 g di proteine al giorno. Seguendo normali principi di bilanciata alimentazione, i 2/3 delle proteine è ragionevole derivino da fonti di origine animale ed 1/3 da fonti di origine vegetale. L’apporto proteico/die raccomandato è di 0,8/0,9 g/kg di peso.

Gelato come fonte di proteine: la proposta BSC

In armonia con una proposta tesa ancora ad evidenziare il valore principe del latte nella dieta, un ice-cream nutri-like non può se non affrontare il tema dell’integrazione proteica che oggi, anche in molti altri settori dell’alimentazione, sta assumendo importanza privilegiata.

Ormai è raro che oggi non si consideri il gelato come mezzo di integrazione calorica-nutrizionale oltre che di messaggio ludico: l’abbandono dell’uso di diversificati additivi costituisce palestra di confronto tecnologico attuale e l’impiego esclusivo di aromi naturali non è strada che non si tenti di intraprendere da più parti, ancora con risultati applicativi qualitativamente non ancora evidenti.

Il raggiungimento di traguardo in tal senso per BSC in Brazzale è comunque pietra miliare d’inizio di una politica di valorizzazione del latte legata indissolubilmente ad “etichetta pulita” oltre che ad avanzata tecnologia del naturale nel settore aromi.

Innovazione ancor più avanzata è quella della presentazione di un gelato come “fonte di proteine” del latte ma ancor più quella di un gelato che copula il valore nutrizionale delle proteine del latte con quello delle proteine vegetali. Un connubio di tal genere sancisce il valore della proposta più saggia che il mondo alimentare possa fare: quella della fine delle diatribe fra animale e vegetale, che conduce ad estremismi di principio che non hanno luogo in un mondo alimentare bisognoso di coalizione nella ricerca scientifica più che di politica partigiana”.