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Green claims: approvata dal parlamento Ue la nuova direttiva contro il greenwashing

Criteri comuni che le aziende dovranno seguire per evitare il greenwashing, cioè l’uso ingannevole di claim green e di sostenibilità sulle etichette e nelle pubblicità dei prodotti venduti nell’Ue. E’ questo l’obiettivo della Direttiva Green Claim approvata dal parlamento UE con 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni, che prevede, per le aziende che vogliono indicare in etichetta informazioni e claim relativi all’impatto ambientale del proprio prodotto o servizio, il rispetto di norme minime su come sostanziare tali affermazioni e su come comunicarle. La questione è finita sotto i riflettori della commissione a causa del proliferare di etichette che fanno riferimento alla sostenibilità o utilizzano claim che richiamano tematiche green. Secondo Bruxelles, ci sarebbero almeno 230 tipologie di etichette di questo tipo ma, “quasi la metà” dei processi di verifica dietro tali affermazioni sono “o deboli o non eseguiti”, ha spiegato la commissione presentando la direttiva. “Le dichiarazioni ecologiche sono ovunque: magliette rispettose dell’oceano, banane a emissioni zero, succhi rispettosi delle api, consegne con compensazione di Co2 al 100% e così via. Sfortunatamente, troppo spesso queste affermazioni vengono fatte senza alcuna prova e giustificazione. Questo apre le porte al greenwashing e mette in svantaggio le aziende che realizzano prodotti veramente sostenibili”, ha spiegato Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea. “Molti europei vogliono contribuire a un mondo più sostenibile attraverso i loro acquisti. Devono potersi fidare delle affermazioni fatte. Con questa proposta, diamo ai consumatori la rassicurazione che quando qualcosa viene venduto come verde, è verde davvero”. Conformemente al testo approvato, infatti, a partire dal 2026 le imprese saranno tenute a fornire prove concrete sulla veridicità di tutte le dichiarazioni ambientali che riguardano i loro prodotti o servizi. Un punto di notevole rilevanza è il divieto di commercializzare prodotti con l’etichetta “carbon neutral” quando le compensazioni delle emissioni di gas serra non si basino su programmi certificati. “I cittadini stanno subendo le conseguenze dei cambiamenti climatici e desiderano essere parte della soluzione. Con il compromesso raggiunto oggi, i consumatori avranno le informazioni necessarie per effettuare scelte green corrette e saranno protetti meglio contro il greenwashing, il social washing e altre pratiche commerciali sleali. Questo è essenziale per consentire loro di svolgere un ruolo attivo nella comune lotta per un’Europa più green e più equa”, ha spiegato Alberto Garzón Espinosa, Ministro ad interim per gli Affari dei Consumatori della Spagna. La direttiva deve ora ricevere l’approvazione definitiva del Consiglio per essere poi pubblicata nella Gazzetta ufficiale.

Green Claims: cosa prevede la direttiva europea

La Green Claims Directive comprende una serie di norme che riguardano il greenwashing a tutela dei consumatori, basata su tre principi fondamentali: fondatezza, comunicazione e verifica. L’obiettivo è che qualunque affermazione ambientale sia fondata su dati verificabili e misurabili, regolamentando in che modo le aziende possono promuoversi presso i consumatori e come non possono farlo. Frasi generiche e senza supporto di dati, come ad esempio “green”, “amico della natura”, “efficiente dal punto di vista energetico” e “biodegradabile”, saranno vietate, a meno che non siano dimostrabili. ​​Il divieto vale anche per tutte le affermazioni relative alla decarbonizzazione: la dicitura carbon neutral non potrà essere più usata, a meno che le compensazioni non siano basate su programmi certificati. In questo caso specifico la Commissione, inoltre, si augura che vengano progettati interventi volti a ridurre gradualmente l’impronta piuttosto che a compensare con metodi non facili da contabilizzare. Questa direttiva aiuterà ad accettare le interpretazioni scientifiche e a condividere pubblicamente i relativi dati; impedendo alle aziende di fare marketing su quanto già previsto dalle norme vigenti. Diventa sempre più necessario, a questo punto, la definizione di standard di riferimento per l’agroalimentare. Ad oggi, infatti, mancano gli standard relativi a tutte le questioni che girano intorno al green, a maggior ragione quando si parla di agricoltura e trasformazione alimentare. Ancora non si è arrivati a definire nemmeno il reale impatto dell’allevamento poiché nel calcolo dei dati che circolano non si tiene conto del fatto che l’agricoltura è l’unico settore che, producendo, compensa le sue emissioni. Mentre oggi l’informazione che viene diffusa lascia pensare esattamente il contrario, quasi come se la Co2 emessa dai bovini non fosse quella assorbita dalle piante che mangiano ma fosse creata ex novo, cosa ovviamene impossibile. Questioni non certo secondarie, sulle quali l’Idf sta lavorando insieme con la organizzazioni internazionali per definire standard corretti di misurazione dell’impatto ambientale. Senza i quali diventa davvero difficile immaginare una regolamentazione di claim ed etichette, che rischia persino di ostacolare o deprimere iniziativa di sostenibilità.