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Dairy: cresce il commercio mondiale. Ma cambiano le destinazioni

Il trade dei prodotti dairy, in generale, gode ottima salute, pur solcando gli agitati mari internazionali. Secondo un recente rapporto pubblicato da Rabobank, il commercio mondiale di prodotti lattiero caseari rimane infatti in crescita nonostante i recenti cali rispetto ai livelli record del 2021, con flussi commerciali eccezionali che superano i 3 miliardi di chilogrammi nel 2022.

Tra il 2017 e il 2022, il commercio di prodotti lattiero caseari ha registrato un tasso di crescita annuo composto dell’1,1%, pari a un aumento del volume di 4,8 miliardi di kg, anche se con alti e bassi lungo il percorso. “La nostra mappa globale del commercio lattiero caseario mostra flussi commerciali eccezionali, con scambi annuali superiori a 3 miliardi di kg nel 2022 – in particolare, il volume degli scambi della Nuova Zelanda con la Cina, le spedizioni degli Stati Uniti verso il Messico, le esportazioni dell’Ue verso il Regno Unito e il flusso di latte dalla Bielorussia alla Russia”, afferma Michael Harvey, analista senior dairy di Rabobank.

Il commercio, tra il 2017 e il 2022, è stato caratterizzato da una serie di eventi globali che hanno influenzato la direzione e l’entità dei flussi commerciali dei prodotti lattiero caseari. L’espansione del commercio mondiale del dairy è avvenuta in un contesto di ristrutturazione della globalizzazione. Tuttavia, vale la pena notare che l’architettura del commercio lattiero caseario non è cambiata in modo significativo durante questo periodo, nonostante diversi eventi importanti che hanno avuto un impatto come la Brexit, le interruzioni dovute alla pandemia e la volatilità dei prezzi delle materie prime.

La Nuova Zelanda rimane la potenza dell’export globale di prodotti lattiero caseari al mondo, rappresentando il 21% del commercio mondiale. La Cina, nel frattempo, resta di gran lunga il più grande importatore dairy, con volumi doppi rispetto a quelli del secondo importatore, il Messico. Ma dopo i record nel 2020 e nel 2021, l’industria cinese è alle prese con il riequilibrio del mercato interno, situazione ulteriormente aggravata dalla forte crescita dell’offerta nazionale di latte e dalla debole domanda dei consumatori.

Nel complesso, l’Ue detiene la maggiore quota di mercato delle esportazioni (27,7%), ma l’industria lattiero casearia statunitense sta continuando la sua lunga e lenta marcia verso i mercati di esportazione. Nel 2022, gli Stati Uniti detenevano una quota del 16,1% delle esportazioni mondiali dairy. Sebbene sia ancora distante, è l’unico grande esportatore a guadagnare quote di mercato dal 2019, in crescita del 3%. “Rabobank prevede che la crescita del commercio lattiero caseario continuerà nel medio termine. Tuttavia, ci saranno alcuni sottili cambiamenti che potrebbero potenzialmente rimodellare ulteriormente l’arena del commercio globale”, osserva Harvey.

La Nuova Zelanda e l’Unione Europea continueranno a dominare nel prossimo futuro grazie ad ampi surplus esportabili. Tuttavia, prospettive più modeste per la crescita dell’offerta di latte in entrambe le regioni avranno implicazioni per il commercio lattiero caseario. Nel frattempo, l’offerta locale si sta evolvendo in Cina e nel Sud-Est asiatico, ma la visione a medio termine è che i loro deficit annuali di importazioni aumenteranno ulteriormente fino al 2030.

L’industria lattiero casearia statunitense continuerà ad avere una solida base per conquistare quote di mercato e si prevede che amplierà l’offerta nazionale di latte fino al 2030. Allo stesso tempo, il consumo di latte liquido rimarrà sotto pressione, con il risultato che ci sarà più latte per la produzione e più prodotti da esportare.

Il mercato globale dairy ha affrontato, e continuerà ad affrontare, diversi eventi globali che stanno ridisegnando l’arena commerciale. “Mentre il commercio lattiero caseario rimane un settore in crescita, tutte le aziende impegnate nel commercio rivaluteranno la catena di approvvigionamento per individuare eventuali vulnerabilità in un’era di maggiori rischi geopolitici e potenziale deglobalizzazione in un contesto di aumento delle politiche commerciali protezionistiche”, spiega Harvey.