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L’appello del retail: “Frenare anche gli aumenti programmati”. Centromarca: “Non è possibile”

Il botta e risposta sugli aumenti dei listini fra industria e distribuzione occupa le pagine dei quotidiani. E’ a questi che Adm, Federdistribuzione, Ancd Conad, Coop e altre insegne hanno affidato l’appello all’industria: “Responsabilità per le famiglie, per le imprese, per il Paese”, che segue le dichiarazioni di Marco Pedroni, presidente di Adm, a Il Sole 24 Ore. Nel testo, che riporta i dati dell’inflazione e gli aumenti di listini ricevuti dalle aziende del largo consumo, “mediamente superiori al 20%”, i retailer rivendicano di aver “assorbito una parte degli aumenti, rinunciando a una quota del proprio margine economico”. Ma spiegano di aver “registrato preoccupanti segni di rallentamento” che rendono necessario un “forte segnale di responsabilità”. E poi, il nocciolo della questione: “Oggi non siamo più in grado di assorbire ulteriori incrementi dei costi. Ci sono le condizioni per limitare ulteriori aumenti ed evitare di deprimere i consumi: in queste settimane i mercati internazionali, ad esempio, indicano un rallentamento delle quotazioni di molte materie prime industriali”. E, infine, la proposta di aprire un dialogo fra le parti per una moratoria degli aumenti: “Per questo chiediamo alle imprese dell’industria del largo consumo la disponibilità ad avviare un confronto per frenare gli aumenti di listino, anche se già programmati, almeno per i primi mesi del 2023“.

Nella stessa giornata, però, Francesco Mutti, presidente di Centromarca, forniva già una risposta, partendo proprio dalle parole di Pedroni. “Le industrie del largo consumo confezionato e quelle di marca si sono fatte carico di una parte degli aumenti spropositati di materie prime ed energia trasferendo a valle sui consumatori solo una parte dei rincari subiti. Una moratoria dei prezzi non è possibile senza pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo“, ha spiegato Mutti a Il Sole 24 Ore. “Una ipotesi di moratoria rischia di non affrontare il problema dei rincari alla radice, a fronte di un beneficio molto temporaneo, ma scarica una parte del problema sulla filiera industriale. La dinamica inflattiva è legata all’energia e con il nuovo anno le aziende rischiano di non avere più il credito d’imposta per le spese sostenute per l’acquisto di energia elettrica e gas”. Sei il retail dichiara di aver trasferito solo una parte del 20% di aumenti ricevuti, Centromarca sostiene che nel 2022 risultano evidenti extracosti che sono stati trasferiti solo tra il 20 e il 50%.

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