Unes: la sostenibilità è un’azione. Parla Rossella Brenna, amministratore delegato
Quella della sostenibilità è una grande sfida anche per il retail. E c’è un insegna che, da oltre 15 anni, interpreta questa mission in modo molto concreto, passando attraverso azioni che coinvolgano il punto vendita e i suoi clienti. Si tratta di Unes, insegna del Gruppo Finiper guidata da Rossella Brenna. Ed è proprio con lei che parliamo di come si traduca la sostenibilità nella vita quotidiana di un punto vendita e, sull’altro versante, cosa si aspettano dalle aziende del settore lattiero caseario. Rossella Brenna spicca per sincerità, chiarezza e trasporto tanto per l’azienda in cui lavora (“per tutti noi è un’altra famiglia”) quanto per il mercato, quello del food, del quale sperimenta in prima persona i prodotti. Durante l’intervista ci racconta ad esempio del suo grande amore per la frutta secca. “Sono una grande consumatrice ma deve essere buona. Infatti, posso tranquillamente dire che la frutta secca di Viaggiator Goloso è una garanzia, perché insisto davvero tanto con i miei per questo”. Ma soprattutto ha una visione molto precisa del ruolo che ciascuno di noi, anche nel suo piccolo, può fare per aggiungere qualche goccia nel mare della sostenibilità.
Quando Unes ha cominciato a pensare alla sostenibilità?
Unes, da 15 anni, anche in tempi nei quali si parlava di questi temi in maniera decisamente meno consistente di oggi, aveva già iniziato ad agire sul fronte della sostenibilità con una serie di iniziative che andavano già in quella direzione. Poi, con lo sviluppo de Il Viaggiator Goloso, abbiamo ampliato ad una sostenibilità in senso più ampio, pensando alla valorizzazione di produzioni e territori.
Certo, la sostenibilità è anche un tema economico e sociale…
Esatto. Come Vg abbiamo sempre avuto a cuore la valorizzazione delle peculiarità dei territori e delle produzioni più contenute. Operazione che possiamo permetterci grazie alla nostra dimensione, più contenuta rispetto ad altri player. Perché c’è sempre un tema di volumi con cui la Gdo deve confrontarsi.
Torniamo a Unes: qual è stata la prima iniziativa sostenibile?
La prima azione che abbiamo fatto, nel 2008, è stata la distribuzione di lampadine a basso contenuto energetico, quando ancora non erano obbligatorie. Cui è subito seguito il rompigetto dell’acqua, che serve a limitare i consumi mettendo più aria nel getto. Poi sono arrivate le buste riutilizzabile, gli schiacciabottiglie e così via.
E con U2?
La sostenibilità è un tema fondante di U2 e di tutta la sua politica: non stampare i volantini, non sprecare la carta o, ad esempio, realizzare la bottiglia senza il fardello di plastica perché così si risparmiano 58 camion di plastica da smaltire su base annua, al tempo in cui abbiamo preso questa decisione. La sostenibilità, per U2, si traduce in una serie di azioni concrete.
Da cosa è nata questa attenzione di Unes alla sostenibilità?
Prima di tutto nasce da una sensibilità mia, molto personale, che poi trasferivo in azienda. E che col tempo è diventata la filosofia di questa insegna. Per questa ragione le prime azioni sono partite dal marketing, con la consapevolezza delle opportunità che i punti vendita ti offrono.
Cioè?
Come negozi, soprattutto perché i nostri sono punti vendita di piccole e medie dimensioni caratterizzati da una forte relazione con il cliente, dove i dipendenti quasi conoscono per nome tutti i clienti, ci siamo detti: il nostro è un luogo di acquisto ma anche di socialità, per certi aspetti. Per questo devono diventare anche un luogo di comunicazione. Non una comunicazione commerciale fine a sé stessa quanto un mezzo di informazione e sensibilizzazione verso persone che si fidano così tanto di noi da venire a fare la spesa quotidianamente, o quasi.
Una bella responsabilità…
Certo. Ci siamo resi conto che potevamo iniziare ad instillare in loro il dubbio che certe azioni possono essere compiute in modo diverso. E che questo può fare la differenza. Perché non approfittare del contatto con 500/600mila persone alla settimana che incontriamo e perché non provare a sensibilizzarle, a renderle coscienti di quante piccole gocce possiamo portare, ciascuno di noi, per plasmare un mondo diverso?
E l’idea dei sacchetti riutilizzabili?
Dopo le prime iniziative sostenibili, abbiamo cominciato a pensare alla questione dei sacchetti, che allora, oltretutto, erano ancora di plastica e non di mater bi come oggi. Così siamo partiti con il sacchetto in tessuto non tessuto. Le prime buste erano blu con il logo Unes e utilizzavano il gioco di parole “più mi usi, meno inquini”. Da allora vendiamo queste borse allo stesso prezzo, cioè 50 centesimi.
Come mai la scelta di mantenere invariato il prezzo?
Perché in questo caso ciò che ci importa non è tanto vendere qualcosa, ma far passare il concetto, in qualche modo educare. Spiegare al cliente che, certo, questo sacchetto costa cinque volte quello di mater bi ma si evita di continuare a fare l’‘usa e getta’. E con 50 centesimi si acquista una busta che usi veramente per tanto tempo, poiché è anche molto resistente. Io la uso addirittura per la legna del camino, tanto è difficile da rompere.
E le limited edition?
Quelle sono arrivate subito dopo. Abbiamo pensato: ma perché non facciamo delle edizioni grafiche, delle collezioni, proprio come nella moda? Così sono arrivate le buste primavera-estate e quelle autunno-inverno, ma anche la versione natalizia che può diventare un contenitore per i doni, portando in giro il verbo del riutilizzo anche a chi le riceve in regalo.
Qual è il rapporto con la burocrazia italiana, quando si intraprendono queste azioni?
Non sempre facile. Una delle battaglie che non mi è riuscito di portare fino in fondo è quello sul riciclo dell’olio esausto da cucina che non solo inquina, se buttato nel lavandino, ma se smaltito correttamente può diventare una risorsa, cioè il biodiesel. Fino ad oggi siamo riusciti a realizzare questo progetto solo a Novara, con il Comune, perché noi non possiamo gestire direttamente rifiuti che non siano nostri.
Torniamo al pack: è una strada che le aziende stanno percorrendo, quella di eliminare la plastica?
Rispondo con un esempio: come dicevo, per l’acqua a nostro marchio abbiamo eliminato dalla confezione la pellicola termosaldata e usiamo solo due regge che uniscono le sei bottiglie, grazie all’investimento in macchinari fatto dal fornitore del nostro marchio Presolana. Ma è una strada che purtroppo l’industria fatica a percorrere perché il film termosaldato è un grande mezzo di comunicazione. E’ un problema di sistema che ci riguarda un po’ tutti.
Certo, il pack è un gran generatore di rifiuti…
Senza dubbio: quando faccio la spesa, non ho ancora mangiato niente e ho già prodotto due sacchi di pattume da buttare. Ovviamente non è una responsabilità solo nostra ma è tutto il sistema che dovrebbe modificare tante cose. E, non dimentichiamocelo, anche noi in quanto consumatori. Ad esempio: abbiamo provato con lo sfuso ma è stato un flop. Nel contesto italiano ci sono ancora attività che, pur sostenibili, sono poco accettate.
A suo avviso, c’è reale intenzione di percorrere la strada della sostenibilità, nel settore alimentare, o in molti casi sono solo slogan?
Direi entrambe le cose. Oggi sostenibilità è un termine abusato, quasi un mantra buono per ogni cosa. Ma c’è gente molto seria che fa cose importanti, in questo ambito. Poi certo, c’è chi è molto più bravo a parlarne che a farle. Io in genere preferisco fare, soprattutto perché se poi vado a vedere quanto inquiniamo come retailer, nonostante le molte attenzioni, mi rendo conto che la strada è tutta da percorrere.
Per il settore caseario il tema sostenibilità si lega a quello del benessere animale. Qual è il punto di vista di Unes?
Questo è un tema molto importante e sensibile: quando escono servizi scandalo su alcune filiere, magari anche Dop, hanno un impatto forte, soprattutto sui giovani. Una amica dei miei figli, che studia scienze delle produzioni animali, qualche tempo fa mi ha confidato che, dopo la visita in un allevamento da latte, ha deciso di non consumare più un certo tipo di formaggi. Bisogna essere molto attenti a questa presa di coscienza dei giovani. Certo, ci sono persone cui non interessano questi temi ma in generale c’è molta sensibilità sulla questione del benessere animale. Poi è ovvio che anche sul plant based le questioni sono aperte, ed è sempre necessario verificare che questi prodotti non creino problemi da altri parti, ad esempio nel settore agricolo.
Cosa pensa di ciò che fanno le aziende di questo settore?
Ci sono realtà molto serie e ben strutturate. E vorrei conoscerne sempre di più. A volte si finisce per mettere tutti nello stesso calderone visto che il tema, oggi, è sulla bocca e nelle dichiarazioni programmatiche di tutti. E anche per i buyer non è sempre facile capire e distinguere.
Senz’altro chi persegue la sostenibilità deve essere premiato…
Noi ci faremmo volentieri portavoce e promotori di aziende che in linea filosofica sposano una sostenibilità reale, anche economica. Perché ovviamente, quando si parla di aziende, bisogna sempre far quadrare i conti. E anche questa è sostenibilità. Bisogna fare delle scelte di prospettiva, che portino ad avvicinarci a modelli che siano sempre più sostenibili e anche più equi nella distribuzione dei valori e del valore creato.
Il consumatore capisce l’importanza di scegliere un prodotto rispetto ad un altro?
Quello di cui ho chiara evidenza è che, rispetto a 10/15 anni fa, sicuramente c’è più attenzione, soprattutto nei ragazzi giovani. Leggono tutto quello che c’è scritto sull’etichetta, sono molto più attenti dei loro genitori. Certo, non dobbiamo dimenticare che ci sono ancora generazioni figlie della guerra per cui la preoccupazione principale era mettere a tavola qualcosa da mangiare. Ma per i giovani la sensibilità, grazie al benessere di cui godiamo oggi, al netto di situazioni di crisi molto evidenti che stiamo vivendo, è ben diversa.
Cosa vede guardando i clienti nei negozi Unes?
Quando mi fermo a osservare le persone dentro i negozi sembra che, prima di acquistare, prendano molte informazioni, siano sempre più alla ricerca di ricette pulite e liste ingredienti corte. D’altronde, se ci sono troppe formule, cosa stai mangiando veramente? E’ questo il tema. Oggi il ragionamento vale se guardi il contesto cittadino, ad esempio a Milano. Però è significativo perché nelle città stai guardando i trendsetter, cioè quelli che anticipano ciò che accadrà poi in tutta Italia.
Anche la nutrizione è sostenibilità: cosa fare Unes se entrerà in vigore il Nutriscore?
Senza dubbio è una cosa che ci preoccupa molto. Il fatto che prodotti più che salubri entrino nella lista nera fa pensare che ci siano anche interessi politici dietro questa battaglia. Non so cosa faremo se e quando diventerà realtà, ma di certo non ci baseremo sul Nutriscore per la scelta dei nostri assortimenti a marchio.