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Emissioni: gli allevatori contro la propaganda ambientalista, dai Paesi Bassi agli Usa

Oggi c’è lui, sul banco degli imputati. Più delle automobili, più dell’industria pesante, più dei carburanti fossili sembra essere il cibo l’imputato numero uno quando si parla di emissioni antropiche. E va ancora peggio se pensiamo alle proteine animali che sembrano ormai diventate la causa di ogni male, soprattutto nella mente della politica Ue. Incurante del valore del cibo, dei progressi fatti dall’agricoltura, del suo peso nella già provata economia della Vecchia Europa e del ciclo naturale di compensazione insito nelle attività agricole, la Ue è sempre più decisa a stringere le maglie della zootecnia. Basti pensare alla recente vicenda della direttiva nella quale le emissioni degli allevamenti verrebbero equiparate a quelle industriali. Sulla questione c’è battaglia, ovviamente, e l’Italia, forte anche della riduzione del 24% delle emissioni negli ultimi 30 anni, si è già espressa in modo contrario. Ma la direttiva ‘ammazza stalle’ è e resta sul tavolo perché il Consiglio dei ministri per l’ambiente ha raggiunto un accordo di compromesso sulla proposta per l’inclusione degli allevamenti bovini come attività inquinanti nella normativa sulla riduzione delle emissioni industriali, nonostante l’opposizione del ministro Gilberto Pichetto Fratin, l’unico ad aver espresso voto contrario. Ma sopratutto, questa direttiva è un segnale chiarissimo di come l’Unione europea abbia intenzione di approcciare la materia. In questo quadro, dunque, non sorprende l’affermazione del Boer Burger Beweging, il movimento civico dei contadini, vincitore delle recenti elezioni provinciali nei Paesi Bassi.

Il voto di protesta nei Paesi Bassi: “Stufi di queste politiche ambientali”

La formazione politica, che aveva debuttato alle elezioni politiche 2021 ottenendo un solo seggio, nella recente tornata ha ottenuto ben il 19% dei consensi, diventando il primo partito sia a livello nazionale sia in tutte le dodici province, con un bottino di ben 17 seggi. Si tratta chiaramente di un voto dei protesta che arriva nel paese con la maggior densità di bestiame nell’Unione con circa 100 milioni di capi, tra bovini, suini e avicoli. Ad accendere la miccia è stato il Memorandum per le aree agricole varato dal governo di Mark Rutte per ridurre drasticamente le emissioni di azoto dagli allevamenti olandesi. Dopo diversi pronunciamenti della Corte Ue e dei tribunali nazionali, che giudicavano le iniziative del governo non sufficienti, Rutte ha proposto una legge per tagliare le emissioni del 50% entro il 2030, con una mappa dei compiti assegnati a ciascuna provincia: alcune dovranno arrivare fino al 70%, le aree protette al 95%. La stima è che il provvedimento porterà alla chiusura di oltre 11mila aziende.

“I Paesi Bassi hanno chiaramente dimostrato di essere stufi di queste politiche ambientali”, ha dichiarato la leader del movimento Boer Burger Beweging, Caroline van der Plas. “Non si tratta solo di azoto, si tratta di cittadini che non vengono visti, ascoltati, presi sul serio“.

Il governo Rutte punta ora a finanziare con 24 miliardi di euro le aziende zootecniche destinate a chiudere. La vittoria del Boer Burger Beweging è “un grido molto chiaro per i politici che ora dovranno sapere ascoltare”, ha dichiarato il premier. E’ evidente però che la protesta degli allevatori, di tutta la Ue, è solo all’inizio. Se l’industria di trasformazione sembra un po’ soggiogata da questo vento impetuoso che le assegna molte responsabilità, il settore primario, toccato direttamente, pare aver cambiato passo, almeno in alcune zone della Ue.

Emissioni, anche negli Usa monta la protesta: “Il cambiamento climatico è un mito. Perché demonizzare la produzione di cibo”?

Altrettanto accade dall’altra parte del mondo. Al grido di “no farmers, no food” anche gli allevatori a stelle e strisce affilano le armi contro l’impalcatura ecologista che li vedrebbe fra i principali colpevoli. In un articolo dal titolo: “Il mito del cambiamento climatico: perché demonizziamo la produzione di cibo”, pubblicato su edairynews, Valeria Hamann, con il contributo scientifico del geologo australiano Ian Rutherford Plimer, analizza la questione partendo dal dato ufficiale dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.

“L’Ipcc afferma che il 3% delle emissioni annuali sono di origine antropica. Perché quel 3% guida il cambiamento climatico e non l’altro 97%? Perché i modi in cui il nostro cibo viene prodotto sono sotto attacco, riportandoci a metodologie medievali, tempi di carestia e morte?”, si chiede Hamann.

“Il clima è sempre cambiato e, in passato, è cambiato più velocemente di quanto immaginiamo. Il livello del mare si è sempre mosso, e non solo del paio di millimetri per cui stiamo andando fuori di testa oggi, ma anche fino a 1500 metri. L’atmosfera oggi ha meno dello 0,04% di C02 rispetto a quanto ha avuto nella storia, e dove è andata a finire tutta quella C02? È entrata nel gesso, nelle conchiglie, nel calcare e nella vita. E sequestriamo C02 dall’atmosfera ‘solo’ da 2,5 miliardi di anni”.

Le considerazioni espresse nell’articolo sono ben diverse da quelle in voga oggi: non vi sarebbe un eccesso di emissioni ma, anzi, la Co2 presente in atmosfera sarebbe a un livello pericolosamente basso e se la dimezzassimo, elimineremmo le piante terrestri, perché la Co2 è cibo per le piante. “Non ci sono prove che la Co2 abbia influenzato il clima”, sentenzia Hamman. Come lei anche il gruppo di scienziati di Clintel-Italia che, di recente, ha scritto al premier Meloni proprio in merito al cambiamento climatico e alle emissioni italiane.

“Attualmente siamo in un’era glaciale, iniziata 34 milioni di anni fa, quando il Sud America si separò dall’Antartide. Per meno del 20% di quel periodo, il pianeta è stato molto freddo. Nel restante 80%, il clima è stato più caldo e umido e c’è stata più C02 nell’atmosfera. E cosa ha fatto la vita? Ha prosperato. Sei delle sei grandi ere glaciali sono iniziate quando il contenuto di C02 nell’atmosfera era mille volte superiore a quello odierno”.

Il cibo sintetico e la propaganda ambientalista

La verità è che in fondo sappiamo poche cose di ciò che è accaduto nella lunghissima storia della terra eppure siamo pronti ad affermare che stiamo andando verso un irreparabile disastro, che una mucca inquini più di un aeroplano in volo, che i produttori di cibo debbano essere decimati e che la miglior alternativa per noi e per il pianeta sia quella del cibo sintetico prodotto in laboratorio. Come se non fosse immediatamente evidente che la vacca non crea la Co2 dal nulla ma, semplicemente, emette quella catturata dall’erba che ha mangiato e che di nuovo verrà catturata dalla nuova erba, in un ciclo virtualmente infinito.

Oggi questa propaganda ambientalista è imperante e non sembra esserci alcuna possibilità di metterla in discussione criticamente. Con l’argomento di prendersi cura del nostro pianeta (che bada perfettamente a sé stesso e farebbe a meno di noi senza problemi), si vorrebbero stravolgere filiere produttive ed eliminare tutto ciò che ha fatto parte, da sempre, della storia dell’uomo. Dimenticando quanto valore hanno ad esempio i latticini, sia in termini di salubrità che dal punto di vista della possibilità di nutrire un pianeta sempre più abitato e dove sempre più persone non solo hanno fame ogni poche ore ma possono finalmente permettersi di mangiare ciò che desiderano. Conclude Hamman: “Produrre latticini è un compito nobile che dovremmo venerare. Prendiamoci cura dei nostri agricoltori”. E se non lo fa nessuno, stanno iniziando a farlo loro.