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Monasteri: la culla dei formaggi, fra regola e fantasia

E’ nei monasteri che sono nati e si sono sviluppati molti dei prodotti che gustiamo oggi, consumati in tutto il mondo. All’origine di tutto c’era la regola monastica. E la grande inventiva dei monaci. 

Prima del loro ingresso sulla scena della produzione, i formaggi erano talvolta mal realizzati e conservati. Innovazione e sperimentazioni erano assai rare e questo prodotto era considerato un dannoso alimento, per le cattive condizioni di conservazione e produzione, riservato solo alle classi più povere della popolazione, che non potevano scegliere proteine considerate più nobili, come la carne. Tutto sembra cambiare nel Medioevo, grazie all’imporsi di un nuovo protagonista sulla scena dell’agricoltura: i monasteri e i monaci che li abitano, secondo la regola di vita ‘ora et labora’, prega e lavora. Luoghi come le abbazie di Moggio Udinese, Chiaravalle (in foto), San Lorenzo di Capua, nel Medioevo diventano centrali per lo sviluppo dei formaggi. 

Senza la carne, un nuovo modello alimentare

Si chiedeva il grande sociologo e scrittore, Léo Moulin: “Sarebbe possibile citare qualche formaggio di pregio che non sia monastico nelle sue origini?”. Come spesso accade nella storia, tutto comincia da un fatto, che da origine a tutta la complessità del mondo dei formaggi così come lo conosciamo oggi: la regola monastica e l’imposizione di un modello alimentare, caratterizzato dalla rinuncia al consumo di carne. Questo alimento era proibito ai monaci per ragioni di principio e sostituito, quindi, con altre proteine, derivanti dal pesce, dalle uova e dai formaggi. Ma anche al di fuori dei monasteri vige questa rinuncia, estesa all’intera società cristiana, in particolare in certi periodi, come la Quaresima, o il venerdì di ogni settimana. Una regola che finisce con l’interessare più di un terzo dei giorni dell’anno e che rende necessario anche un nuovo modello alimentare e la ricerca di cibi buoni e sani che potessero integrare la dieta quotidiana. Ed ecco che il formaggio, da alimento dalla strana fermentazione destinato ai più poveri, si comincia a guardare con occhi diversi. E, via via, diventa protagonista principale della dieta, di sperimentazioni e di ricerche innovative. E così, quella che nasce come una rinuncia alla carne, diventa ben presto una forza creatrice, che porta uno sviluppo della cultura gastronomica ed è l’avvio di un processo meraviglioso, che porta alla straordinaria varietà di formaggi che conosciamo oggi. I monaci, prima ancora che essere direttamente produttori, erano ideatori, sperimentatori e consiglieri dei contadini delle terre che li circondavano. 

I formaggi e l’economia dei monasteri

Il formaggio grana, il montasio e la mozzarella, per fare solo alcuni esempi, nascono proprio nel Medioevo, in ambiente monastico. Il primo nella celebre Abbazia di Chiaravalle, il secondo a Moggio Udinese e la mozzarella a San Lorenzo di Capua. All’interno della abbazie esistevano infatti orti, si coltivavano le erbe medicinali e si allevavano gli animali.

Ma quando parliamo di ‘gastronomia monastica’ non possiamo dimenticare l’importanza del mondo contadino. Se i formaggi ‘monastici’ vengono talora prodotti e, magari, elaborati, inventati o modificati fra le mura del monastero, questo avviene anche grazie ai contadini che lavorano al servizio dei monaci. Molto spesso, poi, i formaggi vengono prodotti all’esterno, in fattorie di proprietà dei monasteri, per poi essere portati lì a maturare. Ma, in ogni caso, l’impulso creativo arriva sempre dai monaci. Per comprendere l’importanza di questi alimenti per i monaci, basta pensare che le rendite in natura, che i monasteri riscuotono dai loro affittuari, spesso contemplano quote di formaggi: scorrendo l’inventario del monastero di Santa Giulia di Brescia, ad esempio, si scopre che erano moltissimi e significativi gli affitti pagati in formaggio dai contadini delle campagne di Lombardia ed Emilia, così come in un altro luogo di grande importanza, nella storia dei formaggi: l’abbazia di San Colombano di Bobbio, sull’Appennino emiliano.

Mito e realtà

Secondo alcuni studiosi, ci sarebbe una certa mitizzazione del ruolo di produttori dei monaci. Certo, difficile distinguere perfettamente mito da realtà, ma resta fuor di dubbio il valore di forza promotrice e di sviluppo che i monasteri, luoghi magnifici che si estendevano su possedimenti infiniti, hanno avuto nella nascita dei più amati formaggi. Erano loro a perfezionare e custodire le tecniche produttive ed erano sempre loro ad insegnare ai pastori e ai casari come adoperarle. E sono sempre loro che li hanno nobilitati, portandoli sulle tavole, e dato un impulso straordinario al loro commercio, che oggi li porta sulle tavole di tutto il mondo. E come venivano usati, in cucina? Quelli freschi si mescolavano con uova e verdure per realizzare ricchi pasticci o per farcire la pasta, come i ravioli, oppure, nel caso dei formaggi più stagionati, si consumavano come pietanza principale o, ancora, venivano grattugiati e spolverizzati sulla pasta, condita con burro e spezie dolci, come la cannella.