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Piani produttivi, la risposta di Stefano Berni: “Uno strumento irrinunciabile che evita gli squilibri e l’esodo di latte”

Stefano Berni, direttore generale del Consorzio di tutela del Grana Padano, risponde all’articolo pubblicato qualche giorno fa su Insiderdairy, dal titolo: “Piani produttivi dei formaggi Dop: hanno ancora senso, oggi?” Nel suo intervento, Berni (in foto) spiega: “I Piani Produttivi, ed in particolare quello del Grana Padano, non sono impostati per frenare bensì per regolare l’offerta. La crescita produttiva annua del Grana Padano, da quando quasi vent’anni fa si adottò il primo strumento di orientamento, superiore al +2% annuo, ne è la riprova. Regolare l’offerta significa evitare squilibri o fluttuazioni annue dannose e prodotti che devono stagionare molti mesi prima di essere immessi sul mercato non possono farne a meno“. Berni entra anche nel merito della situazione di mercato che stiamo vivendo, che presenta andamenti mai visti nel recente passato: “In una situazione così fortemente anomala come questa se non vi fossero i meccanismi del Piano Produttivo si assisterebbe ad un esodo del latte verso destinazioni più remunerative e rapide che non un magazzino in cui fare stazionare mediamente 15 mesi quel latte sotto forma di Grana Padano. La filosofia del Piano Produttivo e i conseguenti meccanismi prevedono che il superamento del proprio riferimento produttivo generi costi aggiuntivi, interamente investiti dal Consorzio nella promozione per la crescita dei mercati e l’assegnazione in modo proporzionale di quote produttive aggiuntive ai caseifici che, superando il loro riferimento, pagano di più. Tali assegnazioni aggiuntive sono definitive”. Di seguito l’intervento completo di Stefano Berni.

“I piani produttivi non sono rigidi e intoccabili”

“Per loro struttura i Piani Produttivi non sono affatto strumenti rigidi e intoccabili, bensì strumenti elastici adattabili e da sempre adattati alle esigenze del periodo. Oltretutto sarebbe clamorosamente sbagliato adottare rivoluzioni dagli effetti prolungati in momenti economici così instabili e volubili.
Il rincaro esagerato dei costi energetici, e di conseguenza dei mangimi, ha posizionato l’asticella sia del latte che del formaggio a livelli impensabili e certamente non duraturi perché se così fosse non andrebbe rivisto solo il Piano, bensì l’intera economia mondiale. Ragionare su progetti ed iniziative a lunga gettata mossi dalle evidenze del momento sarebbe un errore imperdonabile che solo emozionali dilettanti della programmazione socioeconomica potrebbero commettere”.

“Garantiscono stabilità ed evitano l’esodo di latte”

“Il Piano Produttivo genera stabilità e valore all’intera filiera e la remuneratività tra il latte “omogeneo”, segmentata secondo le diverse destinazioni, lo dimostra. Nel caso del Grana Padano è da sempre la più alta, ma anche dai costi produttivi più alti, e mai così alta da sottrarre latte ad altre destinazioni come il latte alimentare, le mozzarelle, gli spalmabili, gli yogurt e altri formaggi molli, avvantaggiati anch’essi dai Piani Produttivi proprio perché gli stessi non devono e non possono incidere negativamente su altri comparti lattiero caseari. Del resto la positiva tenuta dei consumi dei formaggi Dop in questi ultimissimi mesi e settimane dimostra che la crescita dei prezzi al consumo non è stata tale da frenare le quantità acquistate dalle famiglie e questo perché i Piani Produttivi stanno garantendo un equilibrio più solido e rassicurante di quanto capiterebbe se affidati alla volubilità del mercato. I Piani Produttivi garantiscono quindi più stabilità, più equilibrio al mercato e ai consumi, garantiscono più risorse per la promozione interna e internazionale garantendo infine crescita produttiva a chi lo desidera e pianifica di farlo”.

“Uno strumento irrinunciabile che va esteso a più settori possibile”

“I piani produttivi, invece, sono uno strumento irrinunciabile che va esteso a più settori possibili perché mitiga molto gli effetti schizofrenici di situazioni impreviste, imprevedibili e folli come tutte le derivazioni conseguenze della guerra in Ucraina e razionalizza gli andamenti, le prospettive consentendo crescite produttive e prezzi al consumo adeguati. Mettere in discussione, specie adesso, uno dei pochi strumenti di ordine e programmazione in questa fase del mondo in cui l’unica certezza che abbiamo è una grande incertezza sarebbe davvero un ossimoro dell’economia agroalimentare. E mettere in discussione questo principio di stabilità oggi sarebbe contravvenire ai fondamenti che ispirano l’operato dell’Antitrust a tutela dei consumatori. A meno che i fautori della distruzione del cibo originale e delle filiere zootecniche per sostituirlo con quello di sintesi da loro inventato e per loro molto, molto più remunerativo riescano a interferire anche su questo, smantellando ciò che funziona, indebolendo ciò che è solido e generando così confusione. Perché solo dalla confusione e dalle marcate incertezze nascono le rivoluzioni più dolorose e mai democratiche, ma assai vantaggiose per gli ispiratori”.