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Vita d’alpeggio 1: c’è da spostare una mandria

E’ fra maggio e settembre, con l’arrivo della primavera, che i prati di montagna diventano pascoli. Le api ronzano fra i fiori, l’erba cresce e la natura si risveglia sotto il ticchettio della pioggia che bagna tutto (quasi sempre). E così, in un giorno preciso dell’anno che è il malgaro a decretare, arriva il momento di salire con gli animali sui prati alti, per trascorrere lì tutta l’estate. L’immagine la conosciamo tutti ed è una delle foto più belle che si possono scattare fra i monti.

Ma, a dispetto della pace che regalano i prati verdi e l’incessante risuonar di campanacci, la vita d’alpeggio è tutto fuorché riposante. E richiede molte qualità, fra cui senza dubbio la caparbietà, ma anche tanta programmazione. Il pascolo non è (solo) un bellissimo prato, in genere verde, almeno negli anni in cui le piogge non si fanno attendere. Il pascolo è una risorsa fondamentale, quella da cui dipendono durata e successo della stagione d’alpeggio. Ogni azienda ha le sue strategie e compie le sue scelte, secondo la dimensione delle mandrie, l’estensione, la quota, la capacità di lavorare il latte, le necessità dell’inverno.

alpeggio moncerchio
I ragazzi dell’alpe Moncerchio all’opera

Non per tutti i bovini di una azienda agricola estate significa andar per monti: in alpeggio si portano, prima di tutto, le vacche. Ma questo vale per animali in forma e di razza e stazza appropriate, perché la vita sulle terre alte, anche per loro, richiede molte qualità e un fisico che si adatti al terreno e ad una vita più selvatica. In genere poi salgono le manze, che cominciano così a prendere dimestichezza con l’ambiente e le sue regole. I due gruppi di norma sono separati: nel caso delle vacche l’erba ha un legame imprescindibile con la qualità del latte utilizzato per fare formaggi e con la durata dell’alpeggio. E così, il pascolo viene diviso in appezzamenti e gli animali spostati non appena finiscono l’erba di ciascuno dei pezzi, spesso delimitati da fili leggermente elettrificati. A toccarli si prende una scossa lieve, quel che basta per segnalare all’animale i confini della sua tavola quotidiana.

Ma come si fa a spostare una mandria? Se il prato è adiacente, a volte basta solo aprire il filo per vedere le vacche correre allegre verso l’erba nuova. Vere buongustaie, sono sempre in cerca di quella verde e tenera, di certi fiori dolci, dei cespugli di lamponi e di molte altre prelibatezze che i prati riservano. Ma non sempre è così. Se il nuovo pascolo è più lontano, saranno allora l’esperienza, la fiducia dei bovini nei confronti dei pastori, la loro voce che li richiama con espressioni antiche e spesso dialettali, oltre all’aiuto indispensabile dei cani, a compiere la piccola transumanza verso il nuovo e più ricco prato. Ma la torrida estate che stiamo vivendo rende tutto più complicato. Questo, per le vacche e per chi le custodisce, è un anno davvero difficile. Anche dove l’acqua non manca, come nell’Oasi Zegna, l’erba è già fieno da mesi ed è difficile convincere gli animali a cibarsene. Le vacche, animali assai miti ma piuttosto testardi quando si tratta di mangiare, scappano molto più del solito alla ricerca di qualcosa di buono, che scarseggia sempre di più. E così, oltre a spostarle, c’è spesso da andarle a recuperare fra sentieri, pendii e boschi. Operazioni sempre un po’ rocambolesche che riempiono le valli dell’abbaiar dei cani e dei richiami dei pastori. Pochi minuti, sempre che non sia notte, e questo lavoro di squadra, che mostra l’incredibile intesa fra l’uomo e il suo fidato assistente, in genere si conclude. Ma c’è n’è molto dietro, fra studio dei pascoli, picchetti da piantare e fili da tirare. Un lavoro che impegna giornate lunghissime, cominciate già ben prima che sorgesse il sole. 

Nelle immagini: gli animali e i pastori dell’Alpe Moncerchio, a Bielmonte, nell’Oasi Zegna.

Vita d’alpeggio, il fotoreportage

Vita d’alpeggio è un fotoreportage realizzato nell’Oasi Zegna, fra luglio e agosto 2022. Nata nel 1993, l’Oasi Zegna è un progetto orientato alla valorizzazione, non solo del paesaggio, ma anche della vita in tutte le sue forme. E rappresenta la conseguenza dell’approccio del suo fondatore, Ermenegildo Zegna. Negli anni ’30 l’imprenditore realizzò un ampio progetto di valorizzazione del paesaggio attorno al Lanificio, fondato nel 1910, seguendo la strada che lui stesso aveva tracciato e dando vita a un ecosistema ben prima che il termine fosse coniato. Ma la sua visione andava oltre. Ponendo il Lanificio al centro di una comunità molto più vasta, ha creato la strada 232 e successivamente l’Oasi Zegna, grazie a un attento lavoro di riforestazione, per creare un’interdipendenza positiva e sostenibile. 

L’Oasi Zegna è un territorio ad accesso libero, in provincia di Biella, che si estende su 100 km2 e si sviluppa su 1.420 ettari di boschi e 170 ettari di pascoli, ed è un luogo perfetto per entrare in contatto con la natura nel pieno rispetto degli ecosistemi locali.