Made in Italy sotto attacco: se Fed e Bce “tirano la volata”
Il Made in Italy, da intendersi nella sua accezione di Sistema Italia – imprenditoriale, manifatturiero, distributivo – è nel mirino. Anzi, sotto attacco e pesantemente. La drammatica situazione energetica, con l’impennata del prezzo del gas, è soltanto la punta di un iceberg di matrice “finanziaria” che inesorabilmente si sta muovendo con tutta la sua potente mole, opprimendo così le frontiere della produttività. La crisi energetica (che a dire il vero alcuni avevano paventato allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina e che in molti avevano banalizzato) è diventata la leva principale per “rimettere in riga” le economie di alcuni Paesi. Una manovra sinuosa e subdola, che spesso le grancasse mediatiche nascondono per convenienza e sodalità. Ma i fatti sono fin troppo evidenti. L’attuale scenario in cui il Made in Italy è chiamato a “fare la verticale” per non essere oscurato, e che ha origini neppure troppo lontane, ha una “cabina di regia”, per così dire, dislocata fra le due sponde dell’Atlantico. O meglio, tra Washington e Francoforte, negli edifici che rispettivamente ospitano la Fed (la Banca Centrale degli Usa) e la Bce, la Banca Centrale Europea. Sono queste due entità, ormai, che hanno in mano le chiavi delle economie occidentali e anche di buona parte della gestione politica degli Stati Europei afferenti. La finanza ha preso il sopravvento rispetto a quella che dovrebbe essere la “sacralità” di un Paese, dietro quel paravento dell’autonomia (solo di facciata) di cui beneficiano rispetto ai vari governi.
Tra incompetenza e malaFED
Fed e Bce negli ultimi due anni – per loro stessa ammissione – non ci hanno capito un tubo di che cosa stesse accadendo alle economie che devono “governare”. Non ne hanno imbroccata una. Qualcuno sostiene che, in realtà, i rispettivi presidenti conoscevano tutto molto bene, che abbiamo fatto finta di niente, preferendo “passare per scemi pur di non pagare il dazio”. Francamente, la questione non cambia. Jerome Powell e Christine Lagarde hanno dato ampia prova delle loro inadeguatezze, di fonte alle quali la richiesta di farsi da parte sarebbe stata il minimo sindacale. E invece no, la “sciagurata” coppia è stata premiata tanto dalla Casa Bianca (ossia, dall’amministrazione di Joe Biden, per sostenere politica di bilancio fortemente espansiva) e dalle cancellerie europee che contano. Una prova plastica è arrivata lo scorso venerdì 26 agosto. Dopo uno stillicidio durato giorni, il presidente della Fed ha tuonato (dal simposio bei banchieri di Jackson Hole) confermando la linea dura contro l’inflazione, promettendo che la politica monetaria restrittiva sarà decisiva e fondamentale per i prossimi mesi, e come tale destinata a impattare sui conti di famiglie e imprese. Solo un anno fa, Jerome Powell e i suoi “fenomeni della Fed” avevano sostenuto che non ci fosse motivo di preoccuparsi parlando dell’aumento dei prezzi come un “fenomeno transitorio”. Ora invece ha scoperto che l’inflazione Usa c’è e si sente. E allora quale la reazione? Semplice: scatenare panico e paura non solo sui mercati finanziari con le piazze borsistiche finite in profondo rosso. Come correttamente hanno sottolineato alcuni analisti (pochi purtroppo, e tra questi applausi a scena aperta al professor Domenico Masciandaro), il presidente della Fed ha scatenato il panico senza però fornire quantificazioni e tempistiche in merito all’ormai scontato aumento dei tassi di interesse. Insomma, la peggior strategia di comunicazione possibile. La migliore per chi con arroganza tiene (o pensa di tenere) il pallino in mano.
Made in Italy e la pressione energetica
Ben sapendo che la paura diventa lo strumento migliore per governare, sul versante europeo, la Bce non è stata da meno, sia perché ha bucato tutte le previsioni e le valutazioni (per altro madame Lagarde aveva già dato prova della sua inadeguatezza quando era riuscita a farsi mettere a capo del Fondo Monetario Internazionale), sia perché manca definitivamente di iniziativa. La Bce di questi anni si conferma opaca nella sua azione, lenta e macchinosa, come del resto gli altri organismi della Ue. Un esempio? Venerdì 26 agosto, di fronte al prezzo del gas che è schizzato a 339,385 euro a megavattora, a Bruxelles hanno fatto sapere di aver pensato a un consiglio straordinario dei ministri dell’energia dei 27 Stati Membri, da convocarsi entro l’inizio di settembre. Capito il capolavoro di rapidità? Roba da matti. Ma tant’è. Ed è in questo contesto che il Made in Italy (marchi, prodotti, eccellenze, o se preferite aziende, anche mondo della distribuzione) sin trova alle prese con una pressione mai vista. Il governo attualmente in carica per gli affari correnti, sembra cincischiare quando si parla di corrente (elettrica), nonostante tutti i partiti impegnati nella campagna elettorale chiedano un intervento netto e solido per garantire la sopravvivenza di famiglie e imprese. Eh sì, perché è qui che sta il vero nodo. Le imprese italiane, quelle che sono la bandiera del Made in Italy (a cominciare dal food) devono fronteggiare costi assurdi e fuori dal mondo. Molte belle realtà manifatturiere o commerciali italiane si stanno mangiando buona parte dei guadagni per cercare di fronteggiare l’impennata dei costi: altre hanno già finito questa triste abbuffata. Distretti manifatturieri specializzati e apprezzati in tutto il mondo sono a rischio. La chiusura (seppur per eventuali stop momentanei) delle fabbriche equivale a una mannaia. E lo sanno bene quei competitor di altri paesi europei (a cominciare da quelli che non ne vogliono sapere di un tetto europeo al prezzo del gas) che sperano di poter staccare dividendi da questa crisi, non avendo capacità e qualità di poter competere in maniera sana, o se non altro entro le regole non scritte del business. Il Made in Italy è forte. Lo è in sostanza, storia e cultura: diversamente non sarebbe così amato e penosamente imitato. Intendiamoci, non è tutto oro quel che luccica. Il Made in Italy nasconde le mancanze e le strutturali incapacità di un Paese pieno di incongruenze, ma che ha il dovere oltre che il diritto di reagire di fronte all’ennesimo scempio deciso a tavolino da qualche funzionario-banchiere-boiardo che non ha mai lavorato. Neppure allo stadio, per capirci…