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Buona Pasqua da Insiderdairy

“L’uccelletto che al mattino fra l’erba ancor umida scorge la luce in ogni gocciola d’acqua, freme indeciso. Rantoli, strida; i gufi sui galli, i galli sui gufi. Un frullo, uno scatto e trillando si libra a congiungersi allo zenit col proprio anelito. Quell’ingenua freschezza, quel volare coi palpiti. Tutta la sapienza degli allocchi sui più antichi campanili, non vale lo slancio di una lodola.

Chi strilla chi abbaia: un’aria soave, una partitura da cani. Solisti e comprimari, il gallo del pollaio, i rospi del fosso; un gorgheggio un solfeggio. Ma non c’è modo di metterli d’accordo: zigoli, cince; chi arriva chi parte; un salterio un fugato: i passeri sempre pronti a concedere il bis, il merlo a infischiarsene.Invano il forapaglia fa capolino sul fiume: un’acquerugiola, una spruzzatina sui fiori. Il brillar delle gemme, il valzer dei refoli. La primavera fa arrossire anche i fanelli. E cantano i regoli. Sono tornati tutti: pispole, fringuelli, cutrettole: quando le madri volano con fiocchi e pagliuzze nel becco, e le povere pecore, senza saperlo lascian lungo le siepi i bioccoli per le cove. Il codirosso fa le uova verdi come lo schiaccino, il pettirosso come lo scricciolo.

È arrivato l’ambasciatore sui campi e sulle valli… gli vanno incontro covate di pulcini, di ochette e maialini e piccioncini e conigli: l’Aprile è tutto bianco di uova, d’agnelli, albicocchi e ciliegi in fiore. Simile a quel bambino convalescente dai grandi occhi sognanti, che sta alla finestra e ha fame di giuncate e tuorli freschi, e sogna sentieri distanti e vorrebbe correre col vento, l’Aprile è così fresco di acque correnti e palme di ulivo. E la festa che viene tintinna di lontano come un carretto di primizie. Nella notte del Venerdì Santo un uomo erra smarrito per la selva. È giovane e di media statura, crespo, olivigno, il labbro inferiore sporgente. No, non è Parsifal dell’incantesimo; egli non è così forte né così bello; non è vergine, né un’onda d’oro l’avvolge nel cammino. Pieno di crucci e di rancori, è un povero uomo cacciato dal suo paese, un alchimista (s’è iscritto apposta fra gli speziali) un poeta non laureato, che solo comincia dove ogni altro finisce. Ma l’Aprile non è soltanto il mese dell’avventura di Dante. Nel mistero del Venerdì Santo è la Terra che purifica il proprio corpo, perché divenga sostanza, cibo, ostia celeste. E irrompe il Sole.

L’estate a sud, l’autunno ad ovest, l’inverno a nord, la primavera ad est: ecco la croce. Ciò che era nascosto si è manifestato, quel che era sepolto è resuscitato. Alleluja! Poiché l’abbiamo deriso, flagellato, sputacchiato, ed egli ci salva. L’abbiamo trafitto, ucciso, insultato, ed Egli ci trae alla sua gloria. Quando l’organo della cattedrale muggirà il suo salmo, sarà come quando il vento che viene dai tesori di Dio fa cadere una pioggia di fiori. È la Messa cui vanno tutti, la Messa di Pasqua: anche gli usurai e i briganti, come ai tempi delle prime Mense. Poi a casa la mamma spartirà la focaccia tra i bambini, e al più piccino toccherà la fetta più grossa.

‘Gli ultimi saranno i primi’. Così passerà anche la festa maggiore dell’anno. Domani si inizieranno le grandi fiere rustiche, i nobili mercati di bestiame, mentre il Toro balzerà nei cieli. Nulla sarà cambiato apparentemente. La stessa Via Lattea, spostata com’è di pochi secoli luce verso la costellazione d’Ercole, continuerà a fluire tranquilla col suo fiume di stelle: Es via sublimis coelo manifesta sereno… 

Tutto è quiete d’intorno, fino ai Tiburtini, fino al mare. Solo qualche pastore deve alzarsi nella notte per separare gli agnelli dalle madri, ché non li mordano per troppo amore. Il cagnone arruffato, ancora tonto dal sonno, si scrolla di dosso la rugiada della notte e guata. Ode intorno il mareggiare dei pini, il respiro caldo del gregge. La notte che scintilla è una coltre trapunta, distesa sul sonno degli esseri. Ed è come se piovesse e non piove. Verso superbe ombre avanza l’armento picchiettando il selciato sotto il tinnire delle prime campane. E sui ruderi delle terme s’indorano le ginestre. È il Natale di Roma, quando l’Urbe si stacca dalla notte e proietta sul fondo delle costellazioni morenti il cappello di Michelangelo. Generato avanti la stella del mattino – e la luce che viene cammina sull’acque – l’Aprile che apre le aurate porte d’oriente, spalanca gli spazi affinché l’uomo possa viverli dentro, non fuori: avviato a quei prodigi irripetibili cui lo stesso usignolo aspira; sulla via che apre e rivela, che non porta al vuoto del nulla ma alla pienezza dell’Essere”.

Aprile, di Fabio Tombari