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Se anche Confindustria chiede, ancora una volta, lo sblocco dei licenziamenti

Nuovo appello di Confindustria al governo per la rimozione del cosiddetto blocco dei licenziamenti, in vigore ormai dall’invio della pandemia, cioè da marzo 2020. Ma cosa spinge l’associazione degli industriali a chiedere con insistenza questo provvedimento? Un obiettivo semplice ma essenziale: consentire alle aziende di ristrutturarsi, anche licenziando se occorre, per poter ripartire con più slancio alle fine dell’emergenza. Se davvero la strada imboccata oggi è quella che ci condurrà verso l’uscita da questo lunghissimo tunnel, è fondamentale che il sistema economico sia libero di muoversi, trovare le proprie strade e cercare i propri adattamenti, come per qualsiasi altro organismo vivente. Adottato quando sembrava che la crisi dovesse durare un tempo molto più breve, il blocco dei licenziamenti aveva l’obiettivo di congelare la situazione corrente in attesa di ripartire, trovando in qualche modo tutto come lo si era lasciato. Ma la crisi si è evoluta in modo ben diverso e il blocco dei licenziamenti, combinato a piccoli e parziali ristori, sta diventando una vera spada di Damocle sulla ripartenza. “Bisognerà gestire in modo profondo la fase di transizione”, ha avvertito il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Stirpe alla presentazione del rapporto del Centro Studi dell’associazione degli industriali sulle prospettive economiche dell’Italia nel 2021 e 2022. “Continuare a ragionare sul blocco dei licenziamenti è una strategia miope”, ha concluso il numero due di Confindustria. Imbrigliate da norme rigide che non consentono di operare secondo il proprio andamento economico, le aziende rischiano di restare impantanate nella crisi più a lungo del previsto, proprio in virtù dell’impossibilità di reagire alla situazione contingente anche adottando provvedimenti difficili, per liberare risorse e recuperare business, o crearne di nuovi. Inoltre, questa costosissima ‘droga di stato’ non consente di analizzare la situazione per quella che è adottando le misure necessarie per lasciar correre l’economia, unica via possibile per recuperare quanto perduto, anche in termini occupazionali. E non è un caso se il 45% delle imprese, secondo i dati Istat, comincia a temere seriamente per il proprio futuro.

“La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica.”

Luigi Einaudi

Le stime: 389mila occupati in meno nel 2021

Il Centro Studi di Confindustria sul lavoro, per il 2021, ha stime piuttosto negative: “Assumendo una sostanziale stagnazione dell’occupazione tra febbraio e aprile e poi una ripresa in concomitanza con la risalita del Pil, smorzata dagli inevitabili processi di ristrutturazione aziendale e ricomposizione settoriale che avranno luogo in uscita dalla crisi, la variazione del numero di persone occupate nel 2021 si attesterà al -1,7%, pari a -389mila unità”.
Nel 2022 la risalita della domanda di lavoro è prevista un po’ meno intensa rispetto alla ripresa economica (+3,7% le Unità lavorative annue). La dinamica dell’occupazione risentirà in parte di queste ricomposizioni, con conseguente necessità di ricollocamento per una parte della forza lavoro, ma risulterà nel complesso positiva: si stima che in media nel 2022 il numero degli occupati aumenterà dell’1,4% (+313mila unità)”.