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“Chiudere tutto”: il grido di Unione Ristoranti del Buon Ricordo

“Non c’è più tempo”. Non è un appello, ma un grido di allarme, se non di disperazione, quello che lancia l’Unione Ristoranti del Buon Ricordo. Il tempo, infatti, è scaduto e le storiche realtà del mondo Horeca che fanno parte della prima associazione fra ristoratori nata in Italia, nel 1964, e di cui fanno oggi parte un centinaio di locali, lo ribadiscono. A venire evidenziata con forza è l’assoluta criticità di un mondo allo stremo, ma soprattutto la mancanza di chiari e concreti interventi e linee guida che possano scongiurare il tracollo dell’intero comparto. 

L’appello alla somministrazione di Unione Ristoranti del Buon Ricordo

“Il primo grido d’allarme l’abbiamo lanciato lo scorso 30 marzo 2020. Il secondo è datato 22 aprile 2020. Il terzo, che speravamo fosse l’ultimo, il 16 maggio 2020. Ormai non c’è più tempo”. Inizia così l’appello all’intero mondo della ristorazione e della somministrazione promosso dall’Unione Ristoranti del Buon Ricordo. Una presa di posizione netta, chiara e che condividiamo nella sua interezza qui di seguito.

"Ormai non c'è più tempo", avvisa Unione Ristoranti del Buon Ricordo
“Ormai non c’è più tempo”, avvisa Unione Ristoranti del Buon Ricordo

“Il nostro Mondo, il Mondo della ristorazione italiana di qualità oramai è esausto. 11 mesi sono trascorsi dall’inizio della pandemia, 11 mesi durante i quali la nostra categoria ha accettato di chiudere a ripetizione le proprie attività in nome della salute”. 

“Noi ristoratori abbiamo un cuore e lo abbiamo dimostrato. Le briciole dei ristori, quando sono arrivate, sono state proprio tali. Abbiamo accettato anche il gioco dei colori, delle aperture e chiusure per salvare il Natale, poi per salvare gennaio, poi…?” 

Purtroppo, la realtà dei fatti ha dimostrato che non erano i locali pubblici i portatori di contagi. Tutti sappiamo che pranzare in un ristorante è più sicuro che farlo in una mensa aziendale. Allo stesso modo le resse nei supermercati e l’affollamento dei posti di lavoro non possiamo credere che siano meno pericolose”. 

“Ci è voluto del tempo ma tutti ora, noi e i nostri clienti, abbiamo capito che la scelta di chiudere determinati settori è stata una scelta di comodo. Guarda caso sono i settori nei quali è unanimemente riconosciuta la professionalità e la passione per il proprio lavoro. Settori abituati ad abbassare la testa e lavorare. In nome di questo il Governo ha pensato che avremmo digerito ogni cosa, lamentandoci, scrollando la testa ma poi rifugiandoci, per la sopravvivenza, in forme inutili economicamente come asporto e delivery. Tutto giusto. Tutto vero. La passione va oltre ogni ragionamento logico. Così è stato. Con il risultato che tanti di noi sono alla canna del gas!”.

Ora basta. Il vaso è colmo. Ci mancava solo l’invito ad aprire le nostre attività per due giorni per poi chiuderle nel weekend, per poi colorare di nuovo l’Italia di giallo e arancione limitando o vietando il nostro lavoro in modo quasi sadico, per completare la presa in giro. Il 16 maggio dicemmo: i tempi sono scaduti. Tutti ora abbiamo capito che, causa la pandemia, dobbiamo aspettare tempi migliori, ma dobbiamo arrivarci”. 

"Chiediamo al Governo: fateci lavorare in sicurezza, ma con la possibilità di fare impresa oppure permetteteci di arrivare ancora vivi al momento della ripartenza con giusti ristori, non briciole": questa la richiesta di Unione Ristoranti del Buon Ricordo
“Chiediamo al Governo: fateci lavorare in sicurezza, ma con la possibilità di fare impresa oppure permetteteci di arrivare ancora vivi al momento della ripartenza con giusti ristori, non briciole”: questa la richiesta di Unione Ristoranti del Buon Ricordo

“Noi del Buon Ricordo siamo una piccola realtà ma pensiamo di rappresentare il mondo intero della somministrazione (Horeca) che troppo spesso non si è dimostrato compatto. Chiediamo al Governo: fateci lavorare in sicurezza, ma con la possibilità di fare impresa oppure permetteteci di arrivare ancora vivi al momento della ripartenza con giusti ristori, non briciole. Noi imprenditori della ristorazione crediamo di avere tante proposte da portare sul tavolo anche per il futuro, ma dobbiamo essere ascoltati non portati alla chiusura”. 

Asporto e delivery non fanno parte del DNA della grande ristorazione e della somministrazione in genere e chi lo ha fatto o lo sta facendo sa bene che non possono tenere in piedi un’azienda. In una situazione come quella che ci aspetta nelle prossime settimane la soluzione unica e più economica e che rispetterebbe la nostra dignità sarebbe una sola: chiudere tutto”.

Se davvero siamo contagiosi dovremmo essere noi i primi a tirarci fuori dalla mischia. Ma non possiamo farlo da soli. Chi si alza ogni mattina all’alba e per 16 ore non esce dal proprio locale ha una dignità. Ora questa dignità è stata troppe volte calpestata. Asporto e delivery per le regioni arancioni e aperture solo a pranzo infrasettimanalmente per le regioni gialle sono delle prese in giro senza senso“. 

“Questo è il nostro pensiero. Il mondo della somministrazione cosa ne pensa? Noi ci siamo. È tempo di essere uniti e far sentire la nostra voce”.