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Il libero mercato, le sirene protezionistiche e la lezione ignorata del Covid

Tavoli, contributi, fondo perduto, italian sounding, filiere, istituzione di nuove figure per aiutare le imprese a…, risorse Ue, finanziamenti, futuro, nuovi mercati, investimenti, protezione, Made in Italy.

Le parole d’ordine al Cibus di Parma

L’inedito format del Cibus Forum di Parma, che si è tenuto il 2 e 3 settembre, è stato il primo appuntamento fisico dell’agroalimentare dopo la crisi Covid. Ma se il contesto e le misure richieste erano una novità, non altrettanto lo sono state molte delle parole più utilizzate durante la due giorni di dibattiti. E insieme alle tante richieste di contribuzioni a vario titolo per le imprese italiane, sono tornate più forti che mai le parole d’ordine protezionistiche di chi vorrebbe autostrade per i prodotti italiani e, al tempo stesso, il ritorno all’autarchia alimentare e non in casa nostra.

L’Italian sounding che non muore mai

E allora ecco rispuntare l’Italian sounding e gli incalcolabili danni (che pure vengono calcolati con dovizia di particolari) che causerebbe al Made in Italy quello vero (e anche qui, sommessamente, sarebbe da ricordare che in giro per il mondo non vendiamo materie prime, ma molto di più, cioè prodotti trasformati secondo l’inimitabile savoir faire italiano). E si dice, ancora: ce l’abbiamo solo noi ‘il sounding’, mica lo fanno con i francesi, i greci o i tedeschi. E sono gli stessi che, sempre dal palco di Cibus Forum, parlano di piccoli rallentamenti nella spesa durante il lockdown dovuti alla misurazione della temperatura. In poche parole: persone che al supermercato vendono, ma forse non ci vanno poi così tanto. Perché allora vedrebbero quanto ne facciamo tutti di sounding, anche noi, compreso il Greek sounding di chi fa lo yogurt colato e sul pack disegna inequivocabili casette bianche con i tetti blu e il mare sullo sfondo, tanto per fare un esempio. Senza parlare di hamburger&c o addentrarci nel semplice ragionamento che chi compra un formaggio duro made in Usa a 9 dollari al chilo non sceglierà domani, in sua assenza, l’italiano a 45.

Il caso Fonterra

A sentir parlare con tanta insistenza di finanziamenti Ue e contributi a fondo perduto, viene subito in mente il caso Fonterra. La gigantesca cooperativa neozelandese che, senza ripercorrere tutte le tappe della sua storia, è diventata l’attuale colosso grazie a due cose: la scarsa lungimiranza europea del sistema delle quote latte, che ha aperto spazi immensi alla concorrenza fuori dal Vecchio continente, e la crisi economica del proprio Paese, che ha portato il governo a chiudere i rubinetti dei contributi all’agricoltura. Obbligando così Fonterra a dotarsi di una strategia e un piano di crescita efficiente i cui effetti, oggi, sono sotto gli occhi di tutti.

La lezione (ignorata) del Covid

Un bellissimo articolo firmato da Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, ieri su L’Economia (allegato del Corriere della Sera), spiega esattamente cosa è accaduto nei mesi scorsi. Il titolo è già eloquente: “Agroalimentare, così il libero mercato ha battuto il Covid”. Mingardi analizza quella che poteva essere un’emergenza ben peggiore del Covid, cioè la scarsità di beni alimentari, e invece non è stata, in barba alle più fosche previsioni, grazie alla capacità di riorganizzarsi e alla flessibilità dell’industria, che è riuscita a mutare le modalità di approvvigionamento, produzione e distribuzione dei beni. Ma anche all’allentamento delle procedure doganali e delle limitazioni, grazie all’introduzione di corsie verdi per i prodotti alimentari. Mentre tutti eravamo chiusi in casa, insomma, l’agroindustria ‘giocava’ finalmente al libero mercato. E lo ha fatto davvero bene, tanto che nulla ma proprio nulla è mancato sugli scaffali del retail, salvo il tanto citato lievito di birra (per il quale, comunque, l’industria ha assorbito aumenti a tre cifre). Oggi, passata almeno in parte la tempesta, si torna a parlare di meccanismi di protezione mascherati da necessario irrobustimento delle filiere. Mostrando così di non aver imparato nessuna lezione dal Covid, nemmeno quella della potenza del libero mercato. Non potrebbe dir meglio Mingardi: “Cosa-deve-essere-prodotto-dove è una decisione che è meglio lasciare agli operatori economici, sul campo. La loro capacità di adattamento può stupirci. La crescita del commercio mondiale per prodotti agricoli e alimentari lo testimonia”.