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Piano anti-inflazione (1): ecco perché l’industria non firmerà il protocollo

Si è conclusa con un nulla di fatto la prima riunione convocata dal ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) per discutere del protocollo d’intesa denominato Trimestre anti-inflazione, proposto nei giorni scorsi alla distribuzione moderna e alle associazioni degli industriali del largo consumo. Un’iniziativa proposta dal governo per impegnare le organizzazioni di categoria a promuovere presso gli associati l’offerta di prezzi calmierati su una selezione di articoli, da non aumentare nel trimestre 1° ottobre – 31 dicembre 2023. Anticipata dalle dichiarazioni che Federdistribuzione sta facendo da tempo sugli aumenti dei listini dell’industria di marca, ha visto proprio la contrarietà di quest’ultima, che respinge la proposta per diverse ragioni, da quello di merito al metodo. Oggi è arrivata la nota ufficiale di Centromarca e Ibc, che spiega perché le due associazioni hanno ritenuto non praticabile la sottoscrizione del protocollo. Centromarca e Ibc hanno ribadito la volontà di dialogo, con l’obiettivo di affrontare a un tavolo condiviso e in modo organico le inefficienze presenti nella filiera del largo consumo, che si traducono in costi per il consumatore finale. Per rafforzare il potere d’acquisto delle famiglie hanno inoltre auspicato, tra l’altro, una riduzione sensibile dell’iva sui beni di consumo e ulteriori tagli al cuneo fiscale. Ecco le ragioni per cui i rappresentati dell’industria hanno annunciato di non poter siglare l’intesa.

1: con l’oscillazione dei prezzi delle materie prime (caseario +12%) il piano anti-inflazione metterebbe a rischio il tessuto produttivo

La gran parte delle industrie è impegnata nella definizione di contratti di acquisto delle materie prime con prezzi che oscillano costantemente. A titolo di esempio, Nomisma, per le commodity agricole, su base indice Fao, registra le seguenti variazioni tendenziali (giugno 2023 rispetto gennaio 2020): zucchero +74%, cereali +26%, carne +14%, lattiero caseari +12%, olii vegetali +6%. Rispetto a gennaio 2021 il costo del vetro è cresciuto dell’88%, la carta del 65%, il pet del 37%. I costi logistici si mantengono alti. La marginalità delle aziende si è deteriorata a causa del forte aumento del tasso di sconto. Il quadro complessivo non consente previsioni realistiche sulla dinamica dei conti economici e sulle linee delle politiche commerciali dei prossimi mesi. Un’azione di controllo dei prezzi, a prescindere da queste variabili e dalle differenti condizioni delle singole aziende, rischia di pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo (soprattutto delle piccole e medie imprese) e la continuità dei fondamentali investimenti a presidio di qualità, sicurezza, sviluppo, occupazione e sostenibilità.

2: i margini nel settore alimentare si sono ridotti del 41,6%. E i costi sono stati scaricati a valle son in parte

I bilanci industriali registrano riduzioni dei margini, a conferma del fatto che – consapevoli della debolezza del potere d’acquisto delle famiglie – i produttori di beni di largo consumo hanno fatto quanto era in loro potere per trasferire con gradualità a valle gli extracosti (materie prime, energia, imballaggi, trasporti…) anche incamerando negli anni scorsi contrazioni significative dei profitti. Nell’alimentare i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%. L’Osservatorio Congiunturale Centromarca – Ref Ricerche evidenzia che lo scorso anno il 43,5% dei manager delle aziende alimentari e non food ha riscontrato profitti in diminuzione e il 6,2% ha prodotto in perdita. Nel 2022 le tensioni al rialzo dei costi, già in atto nel 2021, si sono accentuate. Per la media dell’industria del largo consumo, secondo elaborazioni di Prometeia, l’incremento è stato del 15,4%, superiore al manifatturiero. L’industria ha trasferito solo parzialmente i costi sui prezzi: in media d’anno, nel 2022, i prezzi al consumo del largo consumo sono aumentati meno del 10% (8,8% per alimentare e bevande, 5,5% per il chimico casa e circa il 3% per gli articoli di igiene personale e prodotti di bellezza). L’impegno delle aziende industriali nel contenimento dei prezzi è confermato anche dal fatto che nel 2022, a fronte di un impatto dell’inflazione che ha determinato una crescita della spesa complessiva delle famiglie pari a 446 euro mensili (rispetto al 2021, dato Istat) l’impatto del carrello della spesa stimato da Nielsen è stato di 35 euro.

3: la normativa Antitrust non consente intese dirette al controllo dei prezzi, anche a ribasso

Verifiche legali hanno appurato che la normativa Antitrust non consente a Centromarca e a Ibc di promuovere presso le aziende associate gli impegni oggetto del protocollo. Ogni industria, nel rispetto della Legge, agisce in autonomia sia nel rapporto con fornitori e clienti sia nella definizione delle politiche commerciali. Un’intesa che “controlli” i prezzi (anche al ribasso) costituirebbe un potenziale cartello, sanzionabile da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’attuazione del contenuto del protocollo determinerebbe, inoltre, interferenze nelle relazioni di filiera e una distorsione della concorrenza tra le imprese, che competono tra loro sulla base di posizionamenti, margini e politiche di prezzo differenziate.

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