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I margini delle aziende di trasformazione nel lattiero caseario? Il grafico tedesco che spiega tutto

Si fa un gran parlare, nell’ultimo periodo, del tema dei margini delle aziende, sempre più eroso dall’impennata dei costi così come lo è il potere d’acquisto delle famiglie. Francesco Mutti, presidente di Centromarca, ha lanciato l’allarme pochi giorni fa: “Anche con il quasi totale trasferimento a valle dei consumi sostenuti, circa il 30% dei fornitori del largo consumo si troverebbe comunque a operare con margini negativi”. Anche la Gdo è alle prese con questo scottante argomento, tanto da chiedere una moratoria sugli aumenti dei listini proprio perché non è più in grado di assorbire altre modifiche senza farle arrivare al consumatore. Il motivo? Sempre lo stesso, i margini che non ci sono più. Questa settimana se ne è diffusamente parlato all’evento della mozzarella di bufala campana DOP, ma non solo. Dopo la chiusura della trattativa fra Italatte e i conferenti, con un prezzo di 57,5 centesimi al litro alla stalla fino a giugno, anche la trasformazione, già in affanno, non fa che interrogarsi su cosa resti del proprio business. E qui non sono in gioco guadagni ma investimenti, acquisti, consumi e in qualche caso la stessa sussistenza. Nello scambio piuttosto teso fra Federdistribuzione e Centromarca si è parlato anche di questo e qualcuno, in particolare Giorgio Santambrogio, ad di Végé, ha rimandato ai bilanci di maggio la risposta circa i margini dell’agroindustria: “Aspetto la pubblicazione dei bilanci delle imprese industriali a maggio. Poi ci sarà da ridere”.

Ma per capire quale sia la situazione nel settore dairy non serve aspettare maggio. Mentre si fissava un nuovo prezzo a 57,5 centesimi, Ife, l’istituto per la food economy di Kiel, in Germania, ha pubblicato il consueto grafico che compara i costi della materia prima, la riga rossa, con i ricavi dei trasformatori, rappresentati dalla curva blu. Il grafico, nella sua drammatica chiarezza, mostra a colpo d’occhio la frattura fra costi e ricavi. In quell’inusuale ed enorme spazio bianco sta il buco nero dei margini della trasformazione, mai così enormemente negativi nella storia. Segno che i caseifici stanno subendo perdite da capogiro (con un prezzo del latte, in questo caso, di 45 centesimi).

Ife, la nota metodologica del grafico mensile

Il Kiel raw material value milk (o ife raw material value milk) è un indicatore precoce dell’andamento dei prezzi sul mercato del latte nella Repubblica federale di Germania. Si applica al latte standard con il 4,0% di grassi e il 3,4% di proteine, proveniente dal produttore di latte, senza IVA, ovvero si tiene conto dei costi medi di raccolta dal produttore di latte al caseificio di 1,6 centesimi per kg di latte. La base di calcolo è il ricavo lordo derivato dai prezzi medi di mercato alla borsa di Kempten per il burro (formato e sfuso) e per il latte scremato in polvere (qualità per alimenti e mangimi), senza tener conto dei contratti a lungo termine.

Il valore della materia prima latte non indica il prezzo del latte di un caseificio specifico, in quanto si basa solo sui ricavi del burro e del latte scremato in polvere, non tiene conto dei periodi contrattuali tra ulteriore trasformazione, commercio e caseifici e solo dei ricavi selezionati, lo scenario di costo e quantità determina il valore della materia prima latte.

Il valore delle materie prime di Kiel per il latte viene pubblicato una volta al mese. Qui è possibile visualizzare gratuitamente il valore della materia prima di Kiel per il latte dell’ultimo mese.