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Report torna sul tema dei grana. E attacca tutti i consorzi

Dopo due anni dall’ultimo servizio sul tema, Report torna a occuparsi del settore lattiero caseario, in particolare dei formaggi Grana, Dop e non Dop, cioè i cosiddetti ‘similari’, con una inchiesta di Rosamaria Aquino. E lo fa, com’è suo costume, insinuando, rincorrendo lo scoop anche dove non c’è. E dimostrando una ben scarsa conoscenza dell’argomento, come sul tema delle forme smarchiate (che a fine stagionatura non possono tecnicamente essere marchiate) o parlando – forse un lapsus? – di latte estero utilizzato per le Dop. Chiariamolo subito: non esiste nessun reato o illecito in quando mostrato ieri dalle telecamere di Rai Tre, a dispetto del tono utilizzato prima, durante e dopo il servizio. E chiariamo anche un altro punto: i formaggi di cui si è parlato, che siano fatti in Italia o all’estero da produttori italiani, sono frutto di fatica e lavoro. E sono tutti perfettamente legali, rispettosi delle norme igienico sanitarie e non solo.

Ma partiamo dall’inizio. Perché Report decide di occuparsi del lattiero caseario? Tutto nasce da un servizio mandato in onda due anni fa e nel quale veniva mostrato latte estero che attraversava la frontiera italiana in direzione di caseifici nostrani, anche fra i produttori del Grana Padano. Il servizio, allora, fece infuriare i vertici del Consorzio di tutela. “Si sono così arrabbiati da minacciare persino di togliere la pubblicità alla Rai”, commenta in studio il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, spiegando che quella che sta per andare in onda è una sorta di puntata riparatrice. E già qui, in realtà, ecco la prima topica: se minacciare di togliere la pubblicità è una classica reazione di pancia di fronte ad articoli che non piacciono all’investitore, resta una reazione sbagliata. Giusto e sacrosanto chiedere rettifiche ma far emergere in modo così chiaro che la pubblicità è anche l’acquisto di una sorta di salvacondotto è una pessima idea. Soprattuto se si parla di servizio pubblico. L’operazione riparatrice, comunque, non sembra del tutto riuscita: certi imbarazzi del direttore generale Stefano Berni, come quello sui quantitativi acquistati all’estero da un suo associato o quello, forse ancora più grave, mostrato rispetto al prodotto commercializzato dal vicepresidente del Consorzio, Attilio Zanetti, con il nome ‘Emilgrana’ – “è il mio vicepresidente”, dice ridendo Berni, “non mi faccia licenziare” – senza dubbio non sono passati inosservati. A maggior ragione vista la feroce battaglia riguardo l’uso della parola ‘grana’ condotta dal Consorzio. Così come le parole del funzionario responsabile delle verifiche ispettive (oggi non più in forza al Consorzio) che si lascia andare a commenti sugli enti terzi deputati ai controlli, che vengono pagati dal controllato. Tutto regolare, legittimo e previsto dalle norme ma certo è, da sempre, uno dei nodi da sciogliere intorno ai cosiddetti ‘enti terzi’. Anche le immagini girate al caseificio Cabre, con un telo a dividere le produzioni Dop dalle altre e un tubo piombato per garantire che i diversi latti finiscano nelle giuste caldaie, non sono certo delle più belle.

Le telecamere, poi, si spostano dall’Italia alla Repubblica Ceca. Qui Report è andata alla scoperta della produzione Brazzale di Gran Moravia, intervistando anche uno degli allevatori conferenti dell’azienda, oltre al presidente Roberto Brazzale. Il servizio in realtà racconta poco: Aquino sollecita Brazzale sull’uscita dal Cda del Grana Padano – su cui l’interessato non fa, in realtà, i commenti negativi sperati forse dalla giornalista – e si sofferma poi su alcune forme non brandizzate presenti in caseificio, destinate al mercato della pl. Anche qui il tono è allusivo, si suggerisce la possibilità di confusioni con le Dop, magari nel grattugiato. Peccato che le immagini mostrate da Report pochi minuti prima abbiano evidenziato la rigidità dei controlli effettuati dal Consorzio del Grana Padano, che non solo vigila direttamente con propri addetti alla fase della grattugia ma verifica anche contabilmente la rispondenza fra l’ingresso, il lavorato e il venduto. Le telecamere si spostano, alla fine, in terra di Parmigiano Reggiano. E dalle nebbie della pianura padana emerge quello che probabilmente è il vero obiettivo del servizio: Nicola Bertinelli, presidente del Parmigiano Reggiano. Che commette, come due anni fa Zanetti, un errore madornale: sottrarsi alle telecamere scappando a bordo della sua automobile. Legittimo, certamente, soprattuto se si viene fermati così, ma poco funzionale. E infarti Report ci va a nozze.

Report, Bertinelli, il Senza e il Consorzio del Parmigiano

Quale sarebbe la gravissima colpa commessa da Bertinelli? Fare l’imprenditore. Perché, semplicemente, la sua azienda produce e commercializza qualcosa che il mercato richiede e il Consorzio di tutela non può offrire: un formaggio senza caglio animale, necessario per certi mercati e ricercato dai consumatori vegetariani. Una produzione contenuta, in termini di volumi, e caratterizzata. Somiglia per certi versi a un Parmigiano? Indubbiamente: la zona è quella, il produttore fa quello e il latte è quello. Ma non vi è alcuna frode o illecito, di nessun tipo. Nello statuto del Consorzio è previsto che il presidente non possa produrre similari? Certo, ma il Mipaaf ha affermato che i due formaggi non sono in concorrenza. Si tratta, comunque, di affari interni del consorzio; il consumatore trae solo beneficio dall’esistenza del formaggio di Bertinelli e non vi è danno per la Dop. Sullo sfondo, poi, c’è l’ennesima guerra intestina di Coldiretti: da un lato Gesmundo, dall’altro Prandini. L’uno più legato a Berni mentre l’altro a Bertinelli. Ed è incredibile come il servizio pubblico, che dovrebbe essere al servizio della verità e per questo riceve contributi diretti dei cittadini (con la barbarie dell’addebito in bolletta, ancora più grave in questo momento), sia in realtà uno strumento a disposizione dei soliti noti e dei loro soliti metodi. Quello che però emerge anche è che, forse, il sistema di regole di cui le Dop si è dotato, compresi i tanto discussi piani produttivi, rischiano talvolta di impantanare i produttori e il prodotto.

In conclusione, cosa resta di questa trasmissione? Il solito alludere, suggerire, evocare. La sensazione, guardando il servizio, è che ciò che conta per Report non sia la realtà ma la sua rappresentazione distorta. Una giostra in cui non è importante il dato oggettivo – c’è un illecito? quale? – ma la messa in scena di un copione. Certo, il reato lo hanno cercato con pervicacia. Ma non lo hanno trovato. “Io a uno che mi fa prendere 80 cent al litro gli porterei il caffè ogni mattina”, commenta un allevatore sui social, a proposito della vicenda Bertinelli.

Forse alcune riflessioni sono l’unica cosa da salvare della serata di ieri: quale deve essere il ruolo di un Consorzio di tutela in un mercato così fluido e complesso? Non rischiano, le troppe norme, di diventare un freno all’innovazione, alla concorrenza, alla creatività imprenditoriale? Il marcio, in Danimarca, non c’era. Ma nonostante ciò c’è molto su cui riflettere. Di comunicazione, e non solo.

12 thoughts on “Report torna sul tema dei grana. E attacca tutti i consorzi

  1. Il commento è molto sintetico :il grana padano, a parte qualche piccola realtà, è oramai un formaggio industriale. Qui in Italia i consorzi nascono probabilmente per la tutela dei prodotti tipici ma poi si fanno megaindistrie del formaggio. Dove tutto oramai è meccanizzato e il latte proviene da allevamenti intensivi. La qualità? È rimasto, per fortuna, l’obbligo delle norme igienico sanitarie. Beh, almeno quello, è il minimo. La qualità? È un lusso che non può appartenere al grana padano industriale.

  2. Certo che sentire criticare e scandalizzarsi per questo fatto “che si lascia andare a commenti sugli enti terzi deputati ai controlli, che vengono pagati dal controllato.” raggiunge il parossismo dell’ipocrisia!!! Perchè lo scandalizzarsi non viene trasferito al produrre biologico o biodinamico (tanto portato in palmo di mano da Report) dove è regola generale che il controllato per ricevere la certificazione deve pagare l’ente controllante ?.

  3. E il solito problema italiano mancano i ontrolli e quando ci sono i controlli sono fatti da enti finanziati dai controllati e quindi tutto è vanificato

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