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Roberto Brazzale: “Il prezzo del latte in Italia non cresce? Perché è svanito l’effetto Brennero”

Che il prezzo del latte in Italia sia un problema è drammaticamente evidente. Il nostro Paese, sempre più lanciato verso l’autosufficienza, si ritrova a fare i conti con quotazioni più basse di quelle dei suoi più diretti competitor: Germania e Francia. In pochi anni, infatti, si è assistito a un totale capovolgimento: quello italiano, fino a pochi anni fa, era il latte mediamente più caro d’Europa, mentre Francia e Germania presentavano prezzi più bassi e competitivi. Poi, la corsa al raggiungimento dell’autosufficienza in Italia da un lato e, dall’altro, la riduzione dei capi e della produzione Oltralpe, hanno rapidamente mutato lo scenario. Oggi l’Italia si ritrova affacciata alla finestra a guardare i prezzi che, superati i confini, continuano a salire. Eppure, agli allevatori, la corsa all’autosufficienza era stata presentata come la panacea di tutti i mali: avrebbe aumentato gli acquisti di latte nazionale e anche il suo prezzo. Ma non è andata così e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: nel 2020, in Italia, si sono raccolte 538mila tonnellate di latte in più, soprattutto da Lombardia (+5,5%), Emilia Romagna (+4,85%) e Piemonte (+4,60%). Eppure, non sembra esserci solo la legge della domanda e dell’offerta alla base di questo calo del prezzo del latte italiano. A questo infatti si somma ciò che Roberto Brazzale definisce “fattore Brennero”. Proprio con lui parliamo del tema del prezzo del latte e delle regioni che stanno dietro la drammatica perdita di competitività dei produttori italiani. 

Il prezzo del latte alla stalla e spot in Italia mostra da tempo prezzi inferiori ai prezzi del centro Europa. Come se lo spiega?

Molto dipende dal raggiungimento dell’autosufficienza di latte liquido, sfuso o confezionato. Nel 2009 ne importavamo 21,6 milioni di quintali, l’anno scorso solo 13, nonostante l’aumento di 16 milioni di quintali di latte/equivalente utilizzato in Italia. La produzione nazionale alla stalla è passata da 111 mln a 131 milioni di quintali. Gli esperti di Clal stimano che dal 2015 al 2020 oltre 6 milioni di quintali di latte di nuova produzione sia andato a sostituire lo spot liquido straniero. Ovvio che ne risenta fortemente il prezzo del latte alla stalla.

In che senso?

Da quando gli allevatori italiani hanno aumentato la produzione fino quasi a colmare il deficit di latte liquido e la necessità di approvvigionarsene all’estero, hanno perso il premio costituito dal suo costo del trasporto dai luoghi di produzione d’Oltralpe, per lo più Baviera, fino agli stabilimenti italiani di utilizzo. Potremmo chiamarlo “fattore Brennero”: le Alpi fanno da barriera e non esistono lattodotti, per scavalcarle ci vogliono le autocisterne. Per la Lombardia significava circa 4-5 centesimi di euro. Oggi la situazione si è invertita: grazie all’aumentata disponibilità alla stalla, l’Italia esporta latte liquido spot verso la Germania e lo sconto che deve subire corrisponde proprio ai quei 4-5 centesimi che prima rappresentavano un premio. Ed il prezzo alla stalla ne viene condizionato.

Quindi il prezzo del latte non dipende dalla sua qualità?

In generale, il prezzo del latte liquido non dipende tanto dalla sua qualità quanto dalla strada che deve percorrere in cisterna prima di essere trasformato. Il suo trasporto costa molto, circa 1 centesimo al litro ogni 100 km, costo ancora più oneroso quando i carburanti rincarano. Non a caso il latte bavarese è mediamente migliore dell’italiano ma il suo prezzo alla stalla in Baviera è sempre stato inferiore. Almeno fino a quando in Italia si è raggiunta l’autosufficienza.

L’autosufficienza non porta con sé la possibilità di sostenere i prezzi interni?

I prezzi dei prodotti finiti dipendono dal mercato e l’Italia copre il 35% circa del proprio fabbisogno importando prodotti trasformati, finiti o semilavorati.  Senza quelle importazioni 18 milioni di italiani resterebbero senza latte yogurt, burro e formaggi. Ma nell’import dei prodotti trasformati il costo del trasporto è irrilevante, probabilmente 15 volte inferiore rispetto al costo del trasporto del latte necessario per farli.  Dunque i produttori italiani non godono nei prodotti finiti di alcun vantaggio strutturale, quello esisteva solo sul latte liquido e condizionava, oltre al latte liquido confezionato, i prezzi di tutti quei prodotti che si devono realizzare vicino ai luoghi di consumo con latte e non con semilavorati. Oggi i prezzi dei prodotti lattiero caseari stranieri sono alle stelle mentre il mercato italiano è in una bolla calmierata dall’accresciuta produzione interna. I prezzi fanno molta più fatica a trasmettersi perché si sono rarefatte le cisterne in entrata dalla Germania e così lo scalino favorevole agli allevatori non esiste più. 

Ma i formaggi Dop seguono logiche diverse...

Certo, le principali Dop remunerano a prezzi superiori grazie a logiche di qualità e di governo delle produzioni, ma l’effetto dei prezzi correnti sul resto del mercato del latte alla lunga finisce per avere effetto anche lì. 

Dunque, un autogol?

Mi ha sempre meravigliato che il mondo zootecnico italiano inseguisse con tanto zelo il raggiungimento dell’autosufficienza. E’ una mela avvelenata per gli interessi di molti allevatori, specialmente per quelli delle aree marginali quelli più piccoli e quelli che sono fuori dalle grandi aree vocate della Lombardia e dell’Emilia. Solo gli allevatori che possono crescere e godono di forti economie di scala potranno nel complesso trarne vantaggio a lungo termine. Ma bisogna vedere se ciò avviene in modo equilibrato e sostenibile sotto l’aspetto ambientale. La zootecnia italiana sembra aver inseguito un obiettivo di bandiera ma rischia di aver perso un decisivo vantaggio economico.

Come andrà a finire?

Come sempre sarà  il mercato ad agire con le sue regole ma è chiaro che stiamo assistendo ad una rilevante riallocazione delle produzioni dalle altre regioni verso la Lombardia e l’Emilia. D’altronde, nella loro perversione le quote latte non “proteggevano” solo i produttori italiani da quelli tedeschi, ma anche quelli veneti e piemontesi da quelli lombardi.  

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